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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2013
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Un cuore cosí bianco è un romanzo sull'amore e sulla morte e su ciò che non si dovrebbe dire e su ciò che non si vorrebbe sapere, strutturato con grande abilità, in cui tutti i personaggi, con i loro dubbi e la loro possibile intercambiabilità, trasmettono un senso di profonda inquietudine e lasciano nel lettore una sensazione di realtà ineffabile e scomoda, precaria, impossibile da definire e difficile da accettare.
«Ho scoperto (ma solo dopo averlo terminato) che "Corazón tan blanco" parlava del segreto e della sua possibile convenienza, della persuasione e dell'istigazione, del matrimonio, della responsabilità di chi ha saputo, della possibilità di sapere e dell'impossibilità d'ignorare, del sospetto, del parlare e del tacere.»
Juan si è appena sposato con Luisa, ma fin dal viaggio di nozze viene assalito da brutti presentimenti, da uno strano malessere. Capisce che la causa delle sue inquietudini va ricercata nei punti oscuri del suo passato, della sua famiglia, ma non può e non vuole scavare nelle sue origini. Sarà un suo amico d'infanzia a raccontargli del suicidio di Teresa, la giovane moglie di suo padre che lui credeva morta di qualche malattia. E sarà Luisa a fare luce sui segreti del passato, a dare una spiegazione a ciò che Juan non avrebbe voluto sapere.
«Un cuore cosí bianco» è una citazione dal Macbeth. Lady Macbeth, saputo dell'assassinio del re Duncan da parte del marito, gli si rivolge con queste parole: «Le mie mani sono come le tue, ma ho vergogna di avere un cuore cosí bianco». E un cuore bianco lo possiede non chi è senza colpe, ma chi non è stato contagiato dalle parole e dalle colpe degli altri.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Della colpa, del segreto, dell’inopportunità - o dell’opportunità? - di rivelarli e della conseguente - inevitabile, in ogni caso - responsabilità. Del sentirsi complici della colpa altrui, più o meno consapevolmente (e volontariamente) correi, solo per esserne informati. Fino alla sentenza di colpevolezza, anche se non si è commesso il fatto. “Si è colpevoli solo di udire le parole, il che non è evitabile, e anche se la legge non discolpa chi parlò, chi parla, costui sa che in realtà non ha fatto niente, anche se ha costretto l'orecchio con la sua lingua, la schiena con il suo petto, con il respiro agitato, con la mano sulla spalla e l'incomprensibile sussurro che ci persuade.” “Mi amerai ancora di più sapendo ciò che ho fatto, benché il saperlo macchi il tuo cuore così bianco.” “Eccole, vedi, adesso le mie mani han lo stesso colore delle tue; ma mi vergognerei d'avere in petto un cuore così bianco.”
Marias racconta storie sempre stimolanti e si diverte, nascondendo al lettore il seguito agognato, attraverso digressioni che possono interessare o meno. Il suo gioco sta nell’interrompere il ritmo per inoltrarsi, lui e noi, in queste puntigliose spiegazioni, in modo che ogni lettore possa appassionarsene secondo il suo gusto. Ad esempio all’inizio c’è una spiegazione sulla differenza fra traduttore e interprete, che pare lunga e noiosa - dai, in fondo lo sappiamo! - ma introduce il lettore a capire come nasce l’amore fra i protagonisti, Juan e Luisa. Questo amore si origina da una subalternità, sia nella posizione fisica che organizzativa, in un momento della loro attività. Entrambi interpreti in organizzazioni internazionali, la futura moglie Luisa controlla la traduzione e siede dietro il futuro marito. Questa dipendenza diventa pungolo e spalleggiamento nella manipolazione del dialogo fra due alti funzionari, uno spagnolo, l’altra inglese, che Juan decide di attuare contravvenendo al suo compito, per far prendere al dialogo una piega umana e personale. È in questa fase che scatta il primo dei tanti riferimenti alle figure del Macbeth. A parte queste considerazioni che possono essere di volta in volta pregio o difetto di un modo di scrivere, il romanzo è bellissimo, non ha una vera trama, è condito da una serie di momenti narrativi, all’apparenza slegati che poi si compongono nell’analisi della gravità dei segreti, del bisogno di condividerne le fasi nascenti quando si devono costruire e della difficoltà a condividerli con altri una volta acquisiti. E soprattutto dei rischi anche drammatici che una totale condivisione può comportare, come capita nello sviluppo del libro. Marias quindi gioca col lettore, inizia il romanzo in modo esplosivo, poi rallenta, chiosa intorno alle vicende, ci porta apparentemente su altre storie, poi però regala un’opera compiuta con personaggi straordinariamente umani ed uno spunto di riflessione assolutamente
È uno di quei libri che ami o odi, allo stesso modo di tutti quelli scritti da quest’autore. È una di quelle storie in cui le parole si perdono in se stesse e tu con loro. È lo stesso Javier che afferma di non sapere verso dove vanno le sue storie ed è proprio così questo libro, un viaggio che si fa solo per il puro piacere di farlo, senza avere una meta. E così mentre che lo leggi ti sembra di muoverti intorno ad un punto. Lo aggiri, ci vai vicino, lo sfiori ma non lo tocchi mai, con la sensazione di essere rimasto sempre nello stesso identico punto. Ma è questo il bello, che lui è come se volesse afferrare un pensiero, un pensiero che eviscera e sviscera senza sosta, in questo caso la necessità, la correttezza o meno delle bugie nei rapporti. Lui si pone una domanda: quant’è giusto alle volte essere sinceri con la persona che si ama? È davvero per l’altro che si racconta la verità o è puro egoismo? È un libro che fa riflettere, che pone degl’interrogativi interessanti e fa dubitare di pensieri quasi certi. Il modo di scrivere riflette il suo modo di affrontare la storia, avanza a forza di periodi lunghi, senza troppa punteggiatura, che all’inizio infastidiscono, ma che in un secondo momento ti permettono di divorare letteralmente il libro. Io l’ho amato, ma mi rendo conto che non è un libro per tutti, solo per quelli che amano perdersi nelle parole e per chi ha voglia di dubitare anche delle certezze più certe.
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