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Dita di dama - Chiara Ingrao - copertina
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Dita di dama

Descrizione


"Mi chiamo Francesca, e sono io che racconto questa storia, non so bene se a qualcun altro o a me stessa, che importa? Importa altro: riuscire a trovare le parole giuste, per dire quegli anni. 1969, l'autunno caldo. Avevamo diciott'anni, non capivamo niente di niente. A Maria l'hanno schiaffata in fabbrica, a me all'università a studiare Legge, dopo pianti e strepiti. Potevo essere io, a dire a Mi sentivo esclusa, dal mondo nuovo che se la stava risucchiando, in un vortice di parole oscure: il cottimo, la bolla, la paletta, i marcatempo... Marca-che? ho chiesto. Che roba è? Boh, non lo so, ha detto Maria. Ma dice che sono i più pericolosi di tutti, 'sti marcatempo. Chi, lo dice? Mi ci perdevo, in quei suoi racconti arruffati su Mammassunta e le sorveglianti, su Ninanana e gli scioperi, e la milanese, e 'Aroscetta... Fioccavano i soprannomi, fra le operaie. E Maria come l'avrebbero chiamata? Per me ti è andata bene, dicevo io. Buttala a ridere, dicevo; mentre le massaggiavo le tempie e le spalle, messe a mollo nel bagnoschiuma, per cercare di togliersi di dosso la puzza di stagno... E la puzza di fumo? E il consiglio di fabbrica? Una cosa pazzesca, incontrare Peppe in quel modo. E ancora più pazzesco innamorarsene. O no? Io non lo so, perché mi assediano la mente quei tempi frenetici, con tutte quelle cose che ci precipitavano addosso: piazza Fontana, i contratti, lo Statuto dei lavoratori, il divorzio, Reggio Calabria... Io non lo so, perché tutti questi ricordi, perché proprio ora."
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Dettagli

2009
227 p., Brossura
9788877384782

Valutazioni e recensioni

LIZIA DAGOSTINO
Recensioni: 4/5

Le dita di dama richiamano l’immagine delle mani di Maria “mi’ fija metalmeccanica”, mani da ventenne che osservano, che pensano, mani capaci di coinvolgere e di decidere. Ritrovo la vita parallela della Storia e delle storie di donna. È un romanzo di formazione, commovente perché reale, che fotografa attraverso pezzi di vita, gli amori, la stanchezza quotidiana, la lotta e “le quaranta ore settimanali, l’aumento salariale uguale per tutti, il diritto di assemblea”p.75. Negli anni ’70, Chiara Ingrao è sindacalista e ricorda quegli anni non solo come il periodo dei terrorismi, ma come il tempo in cui maturano, anche, attraverso il pensiero e l’azione delle donne, il contratto dei metalmeccanici, lo Statuto dei lavoratori e le relazioni gerarchiche e frustranti con il potere dei sorveglianti, dei marcatempo, dei capisquadra, dei capireparto. “<Dal basso> era un’espressione molto usata, piaceva tantissimo; eccetto a Maria, che la trovava volgare. È offensivo, diceva, <basso> a chi? Ora perché uno sta in fabbrica, va considerato basso? Io no mi sento bassa per niente, protestava.” p.101 E’ la storia della dignità delle lavoratrici raccontata da Francesca, voce narrante, studentessa di legge, amica del cuore di Maria. Dita di dama, dita di donne che, fabbricando televisori nella romana Voxon, strutturano la politica come trasformazione del quotidiano, come rivoluzione simbolica, come scelta di comunione. Perché tutte le persone vincano. Risento le discussioni sulla qualità del lavoro in fabbrica, la paura delle bombe sui treni, l’approvazione traumatica per molti/e della legge sul divorzio, gli scontri di Reggio Calabria, la grande manifestazione dei metalmeccanici a Roma, Trentin, Ciccio Franco assieme a Ninanana, ‘Aroscetta, Peppe, Mammassunta,… Dedico a Nuccia questa lettura domenicale. Non è su facebook, ma mi raccontava da sindacalista gli anni in cui anche qui a Bari prendeva forma ed energia il pensiero delle donne: la coscienza femminile, il doppio sì del lavoro e della famiglia, l’emancipazione, l’autonomia, l’indipendenza. Riscopro, così, le radici antiche di un impegno faticoso e appassionato, personale e professionale nella Gestione delle Risorse Umane: i posti di lavoro come occasioni di crescita, la promozione nella diversità dell’uomo e della donna, la consapevolezza di sé come base di ogni crescita sana. Chiedo alla scrittrice: cosa c’entrano i versi danteschi che intitolano i capitoli del romanzo? C’è davvero bisogno di un’abbondanza di senso? Non chiudo il libro, convinta che ci sarebbe lavoro se gli artigiani e le artigiane della filosofia e della psicologia fossero impegnati in prima linea nella creazione e nella applicazione di una antropologia lavorativa, di una visione comunitaria della società etica e morale, di una Formazione Alla Persona, verso il divenire persona. Lo studio, la ricerca, la formazione, ed è già politica. “Immaginati le facce, le storie, i corpi: solo così puoi capire a che accidenti serve la legge”p.168

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