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Recensioni Il Duca

Il Duca di Matteo Melchiorre
Recensioni: 4/5

L'ultimo erede di una dinastia decaduta, i Cimamonte, si è ritirato a vivere nella villa da sempre appartenuta alla sua famiglia. La tenuta giganteggia su Vallorgàna, un piccolo e isolato paese di montagna. Il mondo intorno, il mondo di oggi, nel quale le nobili dinastie non importano piú a nessuno, sembra distante. L'ultimo dei Cimamonte è un giovane uomo solitario che in paese chiamano scherzosamente «il Duca». Sospeso tra l'incredibile potere del luogo, il carico dei lavori manuali e le vecchie carte di famiglia si ritrova via via in una quiete paradossale, dorata, fuori dal tempo. Finché un giorno bussa alla sua porta Nelso, appena sceso dalla montagna. È lui a portargli la notizia: nei boschi della Val Fonda gli stanno rubando seicento quintali di legname. Inaspettatamente, risvegliato dalla smania del possesso, il sangue dei Cimamonte prende a ribollire. Ci sono libri che fin dalle prime righe fanno precipitare il lettore in un mondo mai visto prima. L'abilità dell'autore sta nel mimetizzarsi tra le pieghe della storia, e fare in modo che abitare accanto ai personaggi risulti un gesto tanto istintivo quanto inevitabile. È quello che accade leggendo Il Duca, un romanzo classico eppure nuovissimo, epico e politico, torrenziale e filosofico, che invita a riflettere sulla libertà delle scelte e la forza irresistibile del passato. Con una voce colta e insieme divertita, sinuosa e ipnotica – inusuale nel panorama letterario nostrano – Matteo Melchiorre mette a punto un congegno narrativo dal quale è impossibile staccarsi.

Proposto da Marco Balzano al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«È una storia che sembra provenire da un’altra epoca, quando il mondo era ancora da esplorare e lo spazio attorno agli uomini ancora da conoscere e conquistare. È invece un racconto che, come sa fare a volte la letteratura, parla per allegorie e dicendo di quel cosmo illustra più che mai il nostro, con i suoi voli e i suoi abissi. Due, più di tutti, sono gli elementi che mi colpiscono di questo romanzo: la cura con cui vengono trattati i personaggi e la duttilità della scrittura dell’autore, capace di sbozzare piccoli universi corali e individualità uniche che si stagliano sulla scena. Tra voli di cornacchie, giochi di potere e documenti antichi, Melchiorre accompagna il lettore a toccare con mano la forza e la violenza che esercitiamo nei confronti della natura e, infine, verso noi stessi. L’ambientazione principale è il bosco, quasi una selva dantesca, che continua a respirare nonostante le miserie umane, di cui sembra beffarsi. Ecco perché quell’ultimo erede di una dinastia decaduta, che Melchiorre rende vividamente sulla pagina, è anche uno specchio in cui ciascuno può riconoscere le proprie debolezze e paure.»

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