Euripide - in quello che probabilmente è uno dei suoi ultimi lavori e verosimilmente rimaneggiato postumo - scardina l'eroicità di quattro campioni: Agamennone, Menelao, Odisseo (chiamarlo Ulisse in questa sede sembra un po' fuori posto) e persino Achille; costoro, con sotterfugi e imbrogli, attirano all'accampamento in Aulide Ifigenia - figlia del primo e di Clitemnestra - per sacrificarla ad Artemide secondo quanto vaticinato da Calcante, incerto portavoce del volere divino. Agamennone, per quanto rammaricato, antepone il bene della Grecia all'amore per la figlia; Menelao cerca di lavarsene le mani, sollevandosi da ogni responsabilità; Odisseo è colui che usa l'astuzia ma per trarre in inganno la fanciulla; infine, Achille pensa maggiormente alla propria reputazione infangata che non al tragico destino di Ifigenia. Sarà costei stessa a togliere tutti d'impaccio e decidere di immolarsi per il bene dell'Ellade, ma sarà "graziata" dalla divinità che, nel momento del sacrificio, la sostituirà con una cerva. La sparizione sarà interpretata in maniera fausta e la giovinetta sarà creduta tra gli dèi. Ma la realtà sarà diversa e le sue pene non finiranno qui: continueranno nell'esotica terra dei Tauri.
