L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Anno edizione: 2021
Anno edizione:
Premio Opera Prima Viareggio-Rèpaci 93esima edizione 2022
Libro candidato da Teresa Ciabatti al Premio Strega 2022
«Solo qui voglio incontrarti, dove il corpo fatica e l'imbarazzo ci tormenta. Qui! Dove si muore. E dove si ama. E dove si ama proprio perché si muore.»
Sono stati il leone, la balena, il cerbiatto, protagonisti di una recita di fine anno nella quale il canguro era scomparso e i suoi amici dovevano ritrovarlo. Adesso hanno quasi trent'anni e vagano nei meandri di una vita dorata: mangiano pesce crudo e patanegra, bevono vini pregiati, fumano essenze, assumono droghe come da bambini consumavano caramelle, navigano, festeggiano, inseguono le arti, tentano la politica. Hanno corpi scolpiti e vestiti costosi, sono figli di primari e giornalisti celebri, di miliardari dai patrimoni solidi e antichi o recenti e sospetti, ma sono anche gli eredi dei ribelli che hanno caratterizzato stagioni gloriose e disperate della storia: coloro che, prosperando nella pace, hanno invocato la guerra, che amando i genitori ne hanno patito le ipocrisie, smascherato le contraddizioni e sognato l'annientamento. Poldo Biancheri, "Ciccio" Tapia, Guenda Pech, Stella Marraffa, Aldo: hanno tutto ma si sentono in trappola, e questa è la loro estate, quella in cui vogliono uscire dal cerchio. È Poldo la voce narrante della loro ebbrezza, della loro sfida: racconta come se vedesse tutto già da una distanza, registrando ogni cosa con fermezza ma senza nascondere la nostalgia per un'infanzia ancora vicina, la rabbia verso padri che si sono presi tutto non lasciando che briciole, la tenerezza per i fratelli e i coetanei capaci di farsi del male per protesta o per amore. Poldo ha portato in barca con sé L'Anticristo, in cui Nietzsche sembra parlare di loro: «Guardiamoci in viso: noi siamo Iperborei... Abbiamo trovato l'uscita per interi millenni di labirinto. Oltre il nord, oltre il ghiaccio e la morte: la nostra vita, la nostra felicità...» L'esordio narrativo di Pietro Castellitto è sorprendente quanto l'opera d'arte scagliata dai suoi protagonisti dentro una piscina, doloroso come la voce di un figlio che soffre eppure capace di momenti di incanto, come gli occhi di un cerbiatto che brillano mentre la notte si spegne.
Proposto da Teresa Ciabatti al Premio Strega 2022 con la seguente motivazione:
«Quanto duri la giovinezza è la domanda sottesa a tutto il romanzo. Pietro Castellitto riesce a definire questo tempo nello spazio di una generazione di modo che lo sguardo in presa diretta contraddica il luogo comune secondo il quale l'essere ragazzi è trasversale, uguale per tutti. Uguale e felice. Gli iperborei testimonia che ogni epoca ha la sua età giovanile, e qui, per i quasi trentenni protagonisti, questa età coincide con la paura della fuggevolezza, col morire prima di essersi compiuti. Tra il passato più remoto che è l'infanzia e il futuro prossimo – il trentesimo anno, come ha detto Ingeborg Bachmann – che incombe, ovvero la vecchiaia, il romanzo risponde: passa un istante. La giovinezza dura un istante. Con una voce unica e originale, Castellitto smaschera lo scherzo dell'età senza mai tirarsene fuori. La sua è un'implosione. È la bomba che la figlia dello Svedese mette all'ufficio postale, togliendo la vita a una persona e insieme distruggendo la sua e quella del padre. Includersi nella rovina è il gesto letterario degli Iperborei. Spudorato e pieno di grazia, scapestrato e gentile, questo romanzo fotografa l'oggi con uno stile maturo, ora anarchico, ora conservatore, sempre intimamente innovativo. La velocità, quasi distratta, dei passaggi cruciali, l'inversione del rapporto causa effetto, la drammatizzazione quasi psichedelica dell'inezia, l'anestesia del dolore. La scrittura di Castellitto contiene anche altro: la prova che non è necessario uccidere i padri, ma che – inglobandoli, superandoli, persino tornando a loro – si compie il passaggio. A differenza dei barboncini, i ragazzi "che covano rivoluzioni già covate", gli iperborei rischiano per una rivoluzione dove – ecco l'inaspettato/l'impensato – padri e figli possono abitare, seppur diversamente, lo stesso frangente. In questa scoperta, in questa tenerezza mai esibita, il romanzo è sovversivo. Nella filiazione prima di tutto letteraria che tiene conto dell'eredità di stile e immaginario, incorporandola o rovesciandola, senza mai disintegrarla. Un romanzo destinato a restare non solo per il valore in sé, ma per il rapporto che stabilisce col presente, al pari di quello stabilito da Meno di zero con gli anni Ottanta, e da Il giovane Holden con gli anni Cinquanta. In una contaminazione continua tra infanzia e età adulta, innocenza e malizia, durante un tempo violentissimo e rapido che rallenta su riflessioni in apparenza di poco conto. Il "dove vanno le anatre d'inverno?" di Salinger qui si moltiplica, si fa dubbio anche su sé stessi: "Poldo... Ma quanti anni abbiamo noi?". Per tutte queste ragioni ho deciso di presentare Gli iperborei di Pietro Castellitto alla LXXVI edizione del Premio Strega.»
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il titolo per quanto accattivante è totalmente estraneo alla storia. Ho trovato forzate alcune scelte: dall’ambientazione dei super ricchi, ai personaggi completamente vuoti, dai dialoghi osceni, all’ordinarietà del consumo di droghe. Racconta la vita di chi ha tutto e non brama nulla, i figli dell’elite romana che sfogano in eccessi il loro sentirsi inferiori ai genitori. Non c’è una reale storia, ci sono lunghissimi e, a mio parere inutili, scorci giornalieri della dorata realtà dei protagonisti, con intromissioni introspettive del narratore, condite con volgarità superflue, al limite del fastidioso. Ci sono descrizioni ridondanti di ville, barche, cibi, soldi, droghe, mancano invece elementi sui personaggi che risultano piatti, banali, stereotipati. Ci sono capitoli inqualificabili dal punto di vista della scelta sintattica, dell’utilizzo di punteggiatura e dell’utilizzo di un font differente, e questo senza una sequenza logica che faccia intuire al lettore che si tratti di un ricordo, un pensiero, che sia una lettera, che sia un narratore diverso. La storia prende una svolta a pag 153 dove inizia un racconto con un filo logico ed un senso comprensibile, ma termina inesorabilmente una quindicina di pagine più avanti. In sintesi non mi ha lasciato nulla, anzi, l’impiego di quasi 4 ore del mio tempo per leggere questo romanzo non coincide con la mia idea di lettura. Peccato
Castellitto è bravissimo. La realtà di questi ragazzi si tocca con le mani, così come la loro necessità di uscire dal cerchio. Non mancano momenti davvero lirici, tra visioni, intuizioni, accostamenti di parole, suoni, colori sognati o immaginati.
un libro che fa male, che racconta il mal di vivere. L'autore ha talento e credo che abbia posto le basi per una carriera anche da scrittore. Non è un libro che rimarrà tra i miei preferiti, ma la penna è buona. L'ultima parte è particolarmente toccante e malinconica
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore