Terenzio fu un commediografo berbero di lingua latina, la quale opera è giunta integralmente fino a noi. Fu attivo a Roma dal 166 a.C. al 160 a.C. e le sue commedie furono caratterizzate da un accostamento al modello menandreo.
Nacque a Cartagine (probabilmente tra il 195 e il 183 a.C.) e fu portato a Roma come schiavo dal senatore Terenzio Lucano; conosciuto con il nome di Afer (Africano) il senatore lo educò alle arti liberali e lo affrancò (il suo nome ricalca quello del suo ex padrone, com'era costume al'epoca). La sua vita è testimoniata da Svetonio nella Vita Terentii che fu riportata dal grammatico Donato, il quale la inserì come premessa al suo commento delle commedie terenziane.
Fu in stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni, in particolare con Gaio Lelio, Scipione Emiliano e Lucio Furio Filo: grazie a queste frequentazioni apprese l'uso alto del latino e si tenne aggiornato sulle tendenze artistiche di Roma.
Durante la sua carriera di commediografo venne accusato di plagio ai danni delle opere di Nevio e Plauto e ricoperto di maldicenze da cui non riuscì mai a liberarsi.
Forse per conoscere meglio gli usi e i costumi della Grecia e per ricercare altre opere di Menandro, vi si recò nel 159 a.C. e non fece mai ritorno perché morì in circostanze incerte. Svetonio riporta alcune ipotesi, tra cui il naufragio e il dolore di aver perduto, con i bagagli, 108 commedie rimaneggiate dagli originali di Menandro. Probabilmente proprio per un accostamento all'ispiratore Menandro, diffusa è anche la voce, senza riscontro, di una morte per annegamento.