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Anno edizione: 2011
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L’analisi svolta da Arturo Di Corinto e Alessandro Gilioli, nel libro “I nemici della rete”, conferma l’idea di come l’Italia non sia un Paese sviluppato, dal punto di vista della diffusione e dell’utilizzo del web. O almeno, di come non lo sia ancora. L’analfabetismo informatico ha varie cause che vengono rintracciate progressivamente nei nove capitoli del libro. La prima di queste è, senza alcun dubbio, la carenza di infrastrutture che permettano a tutti i cittadini italiani di avere un collegamento ad Internet e di averlo veloce. Su questo problema si può già individuare la difesa degli interessi di alcune grandi aziende, come quelle telefoniche, poco disposte ad accettare la diminuzione dei propri ricavi di fronte a tecnologie sempre più moderne e meno costose per i cittadini che potrebbero però rendere meno profittevoli i loro investimenti. Un esempio di questo ci è offerto dal mancato sviluppo del WiMax, la rete senza fili quattro volte più veloce dell’UMTS che è il collegamento tipico delle chiavette per pc o dei telefonini. Ma non è solo questo il problema. Infatti, l’età media avanzata dei cittadini italiani fa in modo che essi siano meno portati all’innovazione, anche sotto questo aspetto. Di conseguenza, la classe politica sembra incarnare tutte queste caratteristiche: all’innovazione e ai cambiamenti vengono preferite la difesa delle rendite e l’analfabetizzazione informatica, quest’ultima favorita anche da una sottovalutazione del web come strumento volto a favorire la cultura digitale, la condivisione, lo scambio, la partecipazione, l’informazione, la cittadinanza attiva e l’emancipazione sociale. Da una parte Berlusconi che, va detto, ha avuto il merito di credere, negli anni Settanta, nel mezzo televisivo, non ha avuto però la stessa capacità di intravedere nel web lo stesso potenziale, se non maggiore. Lui stesso ha confessato la propria ignoranza in materia sapendo che le sue reti televisive gli avrebbero reso molto in termini economici e politici. Il suo disinteresse è cominciato però a diminuire negli ultimi tempi da quando le inserzioni pubblicitarie su Internet hanno tolto spazio a quelle sulla carta stampata, sulle radio ed, infine, proprio nelle tv. Sull’altra sponda politica, il centro-sinistra non ha saputo comprendere questo fenomeno e sfruttarlo in maniera adeguata sulla scia della campagna elettorale che ha portato all’elezione dell’attuale presidente degli Stati Uniti Barack Obama. E dai discorsi di Franceschini e Bersani, raccolti all’interno del libro, pare che questo non si sia ancora compreso. Ma una parte della politica, la più efferata, ha cominciato a capirlo. Quando infatti si parla di “difesa delle rendite” tra queste si può includere anche il potere politico. E il disegno di legge Alfano, insieme alle proposte degli Onorevoli Carlucci, Barbareschi, Pecorella e D’Alia, sembrano puntare a questo più che a tutelare gli interessi dei soggetti verso i quali si scrive o si commenta sul web. La stessa politica comunque non è ancora in grado di sviluppare un progetto di lungo periodo in rete. Anzi, quando qualche candidato apre un sito Internet, lo fa in campagna elettorale affinché si autocelebri al fine di ottenere qualche voto in più. La storia poi è quasi sempre la stessa: il sito rimane in linea fino a qualche mese dopo le elezioni per poi chiudere. Non vi è perciò nessun progetto più profondo e, soprattutto, nessun dibattito con gli elettori poiché si sa che le critiche potrebbero essere troppo dannose e il candidato non ci guadagnerebbe. In certi casi poi gli interventi, su alcuni siti dei candidati politici, vengono addirittura filtrati oppure inseriti dall’interessato. L’approccio dei politici al web diventa così “tecnologico” ma non “concettuale” poiché, come affermano gli autori, la macchina comunicativa resta in mano ai partiti e gli elettori possono viverla solo passivamente, senza interagire. Ecco, quindi, i veri nemici della rete. Arturo Di Corinto ha insegnato presso la «Stanford University» e «La Sapienza» di Roma. Scrive per «Il Sole 24 Ore» ed è consulente per la Presidenza del Consiglio dei ministri e per l’Onu. Alessandro Gilioli è giornalista de «L’Espresso».
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