Che spettacolo di scrittura! Tadini dipinge i fondali, scrive il copione, dirige l’opera su morte e risurrezione del Paese. Un giornalista in cerca della sua “esclusiva” si dirige sul lago di Como dove – secondo le indicazioni di uno sconosciuto – pare sia sepolto il tesoro della Wehrmacht. Ma il gerarca che forse poteva sapere, non è più. C’è invece Sibilla nella sua vestaglia di seta nera, ampia come un lenzuolo, coi draghi di Hong Kong ricamati a macchina. È convinta che il giornalista sia lì “a registrare, e a celebrare, i fasti del funerale del suo povero marito o amante che fosse, del famoso Comandante”. Si apre il sipario. Sibilla, la donna del Comandante inizia la sua ultima recita, il suo ultimo testo, senza saltare una virgola: il Poema del Comandante. Il pubblico è composto di un giornalista attento, tre spettatori dormienti, e uno defunto. Recitava Sibilla. Era salita sul palcoscenico per la prima volta affidata alla compagnia del grande attore che dopo averla osservata, le aveva promesso: “Farò di te un’attrice” Poi, arrivati i tempi “brutti”, il Comandante l’aveva invitata a smettere, a rimanere nella villa sul lago. Avrebbe potuto riprendere a guerra finita. Magari mettendo su una compagnia. Il monologo di Sibilla è lungo una notte. La lunga notte dei ricordi. La lunga notte del fascismo. Lo spettacolo non può essere che pessimo. Grottesco e cupo. La penna di Tadini è mirabolante, la scrittura istrionica, carica d’ironia, di sarcasmo. Sempre tesa. Spessa. Va in scena la commedia del disastro. Le parole del grande attore rivolte a Sibilla sembrano adattarsi anche al disastro della Storia. “Quando un disastro simile, cosí perfetto nei minimi particolari, fa la sua comparsa su un palcoscenico, è un gran giorno, per tutto il teatro. Lo sai? Suonano tutte le trombe di latta e rumoreggiano tutti i tuoni finti, e si cucina il piú grosso vitello di cartone, e vino inesistente scorre a fiumi da bottiglie a calici vuoti! Perché è un gran giorno. Non la mediocrità, una volta tanto. Un disastro assoluto! Non è una meraviglia?” Sembra farsa. Invece è tragedia.
Seguendo le tracce di un tesoro che sembra sia stato abbandonato alla fine della guerra dall'esercito tedesco in ritirata, un giornalista arriva sul lago di Como, nella villa di un ex gerarca fascista. Ma il gerarca è appena morto. E in una lunga notte, Sibilla, la sua vedova, ne racconta la storia. Una specie di poema, secondo le sue intenzioni. Ma poema o cronaca, anzi, cronaca nera che sia, in questa storia del comandante c'è, bene o male, anche la storia dell'Italia, dal primo fascismo fino ai giorni nostri. La Roma degli anni prima della guerra, la Milano della Repubblica di Salò e dei giorni della Liberazione... Qui, poi, a proposito della Milano di quel periodo, il giornalista "raddoppia" il racconto di Sibilla ricordando i suoi ricordi di ragazzino: un aprile sfolgorante in cielo e in terra, le luci che si riaccendono di colpo dopo tutto quel nero, dopo quella specie di interminabile passaggio attraverso le strade e le case di una città infernale... Come se il racconto si sforzasse di rifondare miticamente una realtà, una città... E nel racconto del giornalista entra in scena una specie di soggetto collettivo.
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Anno edizione:2010
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