Mai una carezza. Storie del mondo che dobbiamo cambiare - Giampaolo Visetti - copertina
Mai una carezza. Storie del mondo che dobbiamo cambiare - Giampaolo Visetti - 2
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Mai una carezza. Storie del mondo che dobbiamo cambiare
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Descrizione


Ci sono grandi scrittori che prestano la loro penna al giornalismo e giornalisti che scoprono la vocazione alla scrittura nel corso di carriere straordinarie. Giampaolo Visetti è inviato per "la Repubblica" in zone di guerra e in quelle porzioni del pianeta dimenticate da tutti e in cui i conflitti non iniziano e non finiscono, ma semplicemente esistono. Cronista attento ai paradossi del mondo globalizzato, ha raccontato il difficile percorso della nuova Russia putiniana e delle repubbliche ex sovietiche, divise tra un rinnovato ossequio a Mosca e la volontà di salire sul carro guidato dal nuovo amico americano, il riesplodere dei mai sopiti conflitti etnici nei Balcani e nel Caucaso, e le tragedie dei Paesi africani, in cui continuano nel silenzio generale le guerre e il depredamento delle risorse. Testimone oculare di stragi e follie, Visetti possiede un registro unico, fedele alla sua visione del mondo in cui le persone violate, gli sconfitti e gli emarginati sono i soli che "possono avvicinarci alla verità"; dal bambino allevato dai cani nella sconfinata periferia moscovita, ai morti e ai sopravvissuti all'assalto alla scuola di Beslan, dalla famiglia che ha deciso di tornare a vivere a Chernobyl, alla cuoca sudafricana vittima del "nuovo apartheid", fino al popolo inuit che si sta lasciando morire tra i ghiacci. Storie di questo nostro mondo, storie di persone che non hanno mai ricevuto una carezza.

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Dettagli

4 novembre 2008
284 p., Brossura
9788860734594

Valutazioni e recensioni

  • LUIGI STABILE

    Dedicato a tutti quelli che pensano sia possibile farsi carico dei milioni di disperati della Terra. O a quelli che non hanno l’abitudine di girare la testa dall’altra parte. Dedicato a quelli che sono convinti che le soluzioni vadano al di là di qualche distratto pensiero. O a quanti credono che la realtà cominci proprio quando i riflettori e le telecamere vengono spenti ed i taccuini riposti. E se è lecito continuare a sostituirsi nelle dediche all’autore, dedicato a chi, senza bisogno di andare in tivù, ci mette continuamente la faccia. Dedicato a tutti quelli che se la prendono facilmente per quello che viene scritto ma non si indignano, allo stesso modo, per le cose che vengono taciute. Dedicato a chi pur trovandosi nel teatro degli avvenimenti riesce a “bucare” la notizia o a quanti si lasciano scivolare addosso gli eventi senza coglierne la reale portata. Perché ci deve pur essere una spiegazione al fatto che i grandi inviati si trovano sempre nel posto giusto al momento giusto. Giampaolo Visetti, dimostra, nella raccolta di articoli "Mai una carezza" edita da Baldini Castoldi Dalai, di essere tutt’altro che un giornalista di secondo piano. Lo ritroviamo nell’ estremo nord e nel profondo sud, ad oriente e ad occidente, dalla Groenlandia alla Russia, dalla Polonia alla Georgia, dal Kosovo all’Azerbaijan, dal Kenya alla Turchia, dal Kirghizistan al Sudafrica. E dopo averlo promosso nostra guida, ci lasciamo condurre lungo i sentieri dell’attualità e i percorsi della memoria. Per ritrovarci nell’Ossezia del Nord nei giorni della strage degli innocenti di Beslan, in una oscura periferia di Mosca per rendere l’ultimo saluto ad Anna Politkovskaja, tra i venti gelidi di Tasiilaq, nell’arido Natale di Harare. Ma anche nei teatri in cui sono state rappresentate le più impensabili tragedie del novecento: il campo di Auschwitz nel racconto degli ultimi liberatori sopravvissuti e il gulag di Vorkuta che, in una definitiva operazione di rimozione e cancellazione, si accinge a diventare un parco di divertimenti. Per non parlare delle dimenticate vicende della masseria delle allodole e del genocidio degli armeni. Fino a scoprirci disorientati ed impotenti di fronte ad Arbaba e ai bambini di Kalma. Decine di pagine in cui il giornalismo incontra la letteratura e l’articolo di giornale, affrancandosi dal limite temporale di una sola giornata, riesce a rinnovarsi ad ogni lettura. Una sorta di grande romanzo che può essere letto a cominciare dalla metà o dalla conclusione, al di fuori di ogni ordine logico o cronologico per poi, alla fine, andare a ricomporsi in un progetto unitario dotato di senso e direzione. Lo sguardo attento dell’osservatore, la qualità della scrittura, la presenza di elementi costanti nell’eterogeneità delle situazioni, illudono di poter leggere l’intero volume senza interruzione come un romanzo d’appendice finalmente assemblato mentre invece, alla fine di ogni articolo, si sente, impellente, la necessità di fermarsi a riflettere. Un libro, per concludere, da consigliare a tutti i giovani che sognano di abbracciare una professione unica e quanto mai precaria: quella del giornalista. E tra le tante dediche più o meno abusive, l’unica certificata dall’autore: a chi non ha. A chi non ha diritti, a chi non ha tutele, a chi non ha nemmeno il conforto della speranza. Visetti, come ogni grande reporter, è chiamato ad interpretare la realtà per potercela raccontare. Per rendere intelligibile quello che, altrimenti, sarebbe solo un catalogo di fatti affastellati. E nell’impossibilità di condividere appieno i destini degli ultimi del mondo sceglie quantomeno di camminare con loro. Attraverso una strada disagevole, in salita e contromano, che merita comunque di essere percorsa senza indugi. “Storie del mondo che dobbiamo cambiare” recita il sottotitolo del libro. Erano anni che non si sentiva più qualcuno che manifestasse l’intenzione (o almeno il desiderio) di cambiare il mondo. Chissà che il raccontarlo, senza veli ed infingimenti, senza remore ed ornamenti, non sia davvero il primo passo in quella direzione. (Gigi Stabile - gigistabile@tiscali.it)

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