Models

Tutti abbiamo sperimentato gli earworm - quelle frasi o quei riff che ti girano in testa per un'eternità, materializzandosi quando meno te lo aspetti. In "Models", il produttore brmmie Lee Gamble lascia che questi spettri sonori informino una suite di inni illusori, sublimando nel processo frammenti vulnerabili e semi-ricordati di dream pop, rap di Soundcloud e trance. Cantate da voci cibernetiche in un linguaggio quasi privo di parole, le sue memorie widescreen si riverberano attraverso gli ultimi decenni della storia del pop, mescolando la poesia surreale di Elizabeth Frazer alle grida disincarnate di una diva e ai borbottii astratti di Lil Uzi Vert. È una tecnica che fa progredire le teorie alla base dell'album di Gamble del 2012 "Diversions 1994-1996", in cui il produttore vaporizzava intermezzi e breakdown dalla sua collezione di nastri jungle in echi fantasma. In questo caso, Gamble indaga e confonde la storia della musica nello stesso modo, ma evita completamente il campionamento e non è alla ricerca di un'euforia passiva e ambient. In "Models" Gamble si concentra invece sulla voce sintetica, un elemento molto più evidente. Frasi sciolte sono state inserite in una serie di reti neurali che hanno cercato di imitarle e cantarle, spesso corrompendole in nuvole indecifrabili. Il ruolo di Gamble era quello di dare un senso al chiacchiericcio e di trasformare queste non-parole in strette spire emotive.