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Arthur Miller per sessant'anni ha fatto il buono e il cattivo tempo nella drammaturgia americana, con tutte le conseguenze del caso sulla contemporanea produzione letteraria e cinematografica. Relativamente al cinema, è da ricordare che egli fu anche sposato con Marylin Monroe per cinque anni. La «Morte di un commesso viaggiatore» risale al 1949 e fu il suo primo successo planetario: se ne parlò nel bene e nel male, ma se ne parlò tanto, al punto che ancora oggi è un simbolo dell'America: quel paese perennemente in precario equilibrio tra l'essere un'ambiziosa <i>grande nazione</i> e una semplice <i>nazione grande</i>. Il sessantatreenne Willy Loman la incarna perfettamente, questa precarietà: da trentaquattro anni fa il commesso viaggiatore per la stessa compagnia; ora gli è stato ridotto lo stipendio e, nonostante la sua lunghissima carriera e grande dedizione, viene licenziato senza tante cerimonie. Willy ha una moglie devota, che conosce quelle situazioni penose che il marito vorrebbe celarle, e mai gliele fa presenti per umiliarlo: cerca di proteggerlo e di farlo sentire ancora utile. La coppia ha due figli ormai adulti che hanno intrapreso senza alcun profitto la carriera paterna, e la verità è che sono degli inetti da ogni punto di vista: si salvano solo da quello emotivo, per l'amore verace che hanno verso il padre. Un sentimento così, però, può aver nociuto alla loro psiche di ragazzi in procinto di delinearsi quando quel castello di carte è crollato senza far rumore. Nonostante le aspettative i due non troveranno la loro strada, e quando Willy compirà il gesto estremo lo farà con una lucidità che non ha mai dimostrato, finalmente con la consapevolezza di aver sbagliato tutto, di aver voluto fingere di essere ciò che non era: con lui muore l'illusione del sogno americano.
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