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Le cronache di un quartiere raccontate attraverso la quotidianità dei suoi abitanti: la realtà e le fantasie di un mondo in cui si compenetrano gli arcani della tradizione orientale e il sottile fascino della civiltà europea. Realtà come raffigurazione degli eventi che scandiscono la vita del rione (i suoni e gli afrori delle stradicciole, le vedute carpite dalle finestre, gli oggetti, le dicerie e i sentimenti), e fantasia come strumento di conoscenza delle forme e delle essenze che compongono, e infinitamente ripetono, il ciclo nascita, vita e morte (la magica visione del monastero, il giardino di delizie, l'inquietante oscurità del tunnel, e ancora: l'invisibile Grande Vecchio, l'aleatorio paese al di là dei monti e la baluginante presenza divina). E' questo il rispecchiamento di un'univocità che, muovendo da una struttura narrativa di rara linearità ed efficacia, assume connotazioni poetiche, spirituali e filosofiche: il protagonista delle settantotto sequenze in cui si ordina "Il nostro quartiere", un 'io' infantile che si trova ad affrontare gli accadimenti precipui dell'esistenza umana sempre dibattuto tra dato fisico e ipotesi metafisica, diventa così il cantore di gioie, passioni, ansie, soprusi, paure e disperazioni che consentono all'umanità che popola il dedalo di viuzze della narrazione di travalicare la valenza di microcosmo per assurgere a effigie dell'universo.
Non scevri di assonanze sia con la dottrina mistica dei sufi che con alcuni assunti della filosofia rinascimentale, questi racconti costituiscono un momento primario nell'economia dell'opera di Nagib Mahfuz: infatti in essi si rintracciano le eco delle frequentazioni filosofiche che hanno profondamente segnato la sua intera produzione letteraria, e quelle allegorie che, oltre a proporsi come metodo di percezione e di rappresentazione, sono l'essenza stessa della dimensione emotiva e intellettuale dello scrittore egiziano.
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