Nulla volere, sapere, avere. I sermoni di Meister Eckhart - Francesco Roat - copertina
Nulla volere, sapere, avere. I sermoni di Meister Eckhart - Francesco Roat - copertina
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Letteratura: Italia
Nulla volere, sapere, avere. I sermoni di Meister Eckhart
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Descrizione


I sermoni tedeschi sono testimonianza d’un intento: rinnovare il modo d’esser cristiani. In primo luogo aborrendo ogni pratica mercantilistica che veda il rapporto tra uomo e Dio basato sulla trattativa del do ut des: mi comporto in un certo modo per ottenere un qualche ausilio/conforto dalla divinità. Semplificando alquanto, la tematica basilare affrontata in questi sermoni sta nel proporre una condotta all’insegna dell’abnegazione e del “distacco” (abegescheidenheit) da ogni attaccamento mondano quali prerequisiti indispensabili a un approccio esperienziale di tipo mistico; ciò onde ottenere la generazione del Logos nell’anima. Ma se si intende far sì che il Figlio abbia a nascere nell’anima è necessario predisporla in modo che essa sia priva d’ogni forma di brama o egotismo, mediante un abbandono che è insieme magnanimità e non-dipendenza dall’inessenziale. Nell’ottica eckhartiana il distacco si coniuga all’accettazione serena della realtà/esistenza, anche (o soprattutto) quando essa comporti privazioni, pene, lutti. Un’accettazione non certo masochistica, che non ha nulla della passività o dell’apatia ma che si configura come una sorta di noluntas, di abdicazione alla propria volontà/egoità in modo da non pretendere più nulla; per quanto, paradossalmente, nulla cercando molto si ottiene. Solo così, per il mistico Eckhart, gli uomini possono divenire – qui e ora, non in un futuribile/ineffabile eden – davvero “beati” (saelic). Perciò l’uomo pneumatico: «nulla vuole, nulla sa, nulla ha» (Sermone 52). Va precisato, ovviamente, che questa serie di nulla si riferisce soprattutto alla hybris dell’egocentrismo e alla sua perenne smania desiderante e alla pretesa di comprendere intellettualmente ciò che valica i limiti dell’umano sapere (Dio); infine alla fame insaziabile di possesso/primato: in primo luogo quello, apparentemente encomiabile, costituito dal proposito di acquisire la piena realizzazione spirituale. Riguardo a tale massimo traguardo, il mistico tedesco è sin troppo chiaro: «se l’anima deve conoscere Dio, deve dimenticare sé stessa e deve perdere sé stessa» (Sermone 68). Solo questa presa di distanza consente all’anima di giungere al proprio “fondo” (grunt), che sembra non discostarsi molto dall’heideggeriano Abgrund: quell’abisso vuoto e senza fondamento che può angosciare solo chi cerca solide certezze cui ancorarsi. Infine: per il predicatore Eckhart è valida appena la teologia apofatica, in quanto su Dio si può dire appena cosa non è. E giusto con questa consapevolezza il mistico si deve sempre misurare: conscio dell’impossibilità di parlare dell’ineffabile, ma al contempo sospinto dalla compassione/charitas a fornire una bussola orientativa al pellegrino incamminatosi per l’arduo sentiero dell’autentica spiritualità. Presentazione di Marco Vannini.

Dettagli

Libro universitario
224 p., Brossura
9788893663359

Conosci l'autore

Foto di Francesco Roat

Francesco Roat

1950, Trento

Francesco Roat, nato a Trento nel 1950, è insegnante di materie letterarie nella Scuola Secondaria e svolge attività di consulente editoriale. Dopo aver iniziato a scrivere su due giornali della propria regione è passato quindi a collaborare con testate nazionali: «Avvenimenti», «Cafè letterario di Alice», «il manifesto», «Il Mucchio selvaggio», «Liberal», «L’Indice», «L’Unità».Ha pubblicato i testi narrativi: Tra-guardo (Argo 2000), Una donna sbagliata (Avagliano 2002), Amor ch’a nullo amato (Manni 2005), Tre storie belle (Travenbooks 2007), I giocattoli di Auschwitz (Lindau 2013), Hitler mon amour (Avagliano 2014) – ed i saggi: L’ape di luglio...

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