Peccato, crimine e malattia tra Ottocento e Novecento
In ogni epoca l'immagine visiva o ideologica del "peccatore" è stata caratterizzata da segni esteriori, da marchi che suggellano e sanciscono l'abiezione morale con la disgregazione fisica. Il trasgressore ha sempre fatto parte di una "società malata", di un luogo di relazioni sociali in cui l'abito esteriore è la malattia, e il linguaggio la bestemmia. Anche le campagne, idealizzato mondo delle virtu più semplici e delle abitudini "sane", sono state da sempre abitate dal "peccato" e dalla "malattia". Ed anzi sono state il luogo sociale in cui la trasgressione si è espressa nelle forme più feroci, brutali e quotidiane. L'autore del volume si è immerso in questo inferno contadino attraverso lo studio di materiali giudiziari e documenti che percorrono l'Ottocento e il primo Novecento in un'area significativa del Mezzogiorno. Ne emerge una realtà diffusa di sofferenze sociali in cui "vizio e morbo" sono intrecciati in un dolente impasto, come testimoniano, con retorico ma efficace realismo, le meticolose requisitorie dei pubblici ministeri e delle autorità che vegliano sulla "sanità pubblica". Stupro, sodomia, prostituzione sono l'altra faccia delle "Veneri contadine", una faccia segnata da mali cronici e riluttanti. I "peccatori" cominciano cosi a scontare le pene previste in codici scritti e non scritti.
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Anno edizione:1985
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