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Nelle Pietre di Venezia lo storico leggerà una documentata analisi dell’evoluzione e del tramonto di una città, di un popolo, di una cultura; il critico vi leggerà la tesi, oggi insostenibile, della decadenza dell’arte nel Rinascimento come specchio della decadenza morale e della degradazione dell’arte in lavoro, dell’artista in operaio. Ma la domanda che guida Ruskin nello studio dei monumenti riguarda la vita, non la tecnica: “Fu felice l’esecutore mentre era all’opera?”. L’arte diventa misura di tutte le cose, canto del cigno di un mondo preindustriale scomparso, di cui Venezia è nobile e triste testimonianza. E così, il lettore sensibile leggerà in quest’opera soprattutto l’omaggio dell’autore al suo ennesimo amore infelice: Venezia, una città morta. L’immagine che apre il volume, le onde che si frangono contro le pietre risuonando come un rintocco funebre, ha influenzato artisti come Proust, Mann e Visconti e li ha legati a questo luogo magico e triste.
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