Tornare a leggere Bradbury dopo tanti anni porta a ritrovare un senso del meraviglioso che non disdegna le sfumature horror, restando però vicino al territorio della fiaba. La scrittura si appoggia ad un lirismo a tratti quasi eccessivo, in grado di avvolgere lo sviluppo dell’intreccio in un’atmosfera poetica e spesso malinconica. Quello che si configura come il più classico dei racconti di formazione concede un ruolo da co-protagonista al genitore anziano (nella percezione degli anni ‘60.. ), costretto ad affrontare paure e rimpianti, sentimenti che possono debordare e aprire la via al popolo dell’autunno, eternamente sospeso tra l’estate della giovinezza e l’inverno che avvicina alla morte. Alla fine è lui a fornire la chiave della vittoria, una risata che infrange l’ego e apre la strada dell’empatia verso l’altro. Al netto di una parte centrale più statica ed enunciativa, il romanzo scorre veloce come le corse notturne di Will e Jim, ma lascia il dubbio che la scrittura lirica di Bradbury dia il meglio nella misura breve del racconto.
