Cosa dire di questo nuovo lavoro di Firpo? In linea con tutte le sue precedenti ricerche, l'autore - uno degli storici migliori italiani - sviluppa la sua tesi del difficile imporsi dell'Inquisizione italiana ai suoi inizi. Questa ricerca, anzi, può essere considerata il punto di partenza per chi voglia affrontare queste tematiche, in quanto Firpo vi tratteggia tutti i problemi centrali - pur integrandoli con nuovo materiale - che interessano i suoi altri studi. Il modo di scrivere e di esporre dell'autore è, poi, un'efficace smentita verso tutti coloro che continuano a vedere nei testi di storia una lettura arida e poco avvincente.
La presa di potere dell'inquisizione romana (1550-1553)
I primi anni Cinquanta del Cinquecento vedono uno scontro durissimo tra il Sant'Ufficio e papa Giulio III, sempre più in conflitto con gli inquisitori che di fatto non riconoscono la sua autorità, ma troppo debole e screditato per proporre una linea alternativa. La battaglia si apre con il lungo e drammatico conclave del 1549-50, quando Gian Pietro Carafa (il futuro Paolo IV) non esita a formulare esplicite accuse di eresia contro alcuni dei più autorevoli esponenti del sacro collegio. Forte del suo ruolo istituzionale di supremo difensore della fede, il Sant'Ufficio riesce a imporre il primato dell'ortodossia teologica su ogni altra considerazione di natura politica e pastorale, ergendosi cosi al rango di supremo tutore e garante della Chiesa e del suo magistero. A dispetto degli ordini del pontefice, l'Inquisizione continua ad accumulare prove e documenti processuali per eliminare i propri avversari anche avvalendosi delle denunce di persone screditate o di documenti falsi. Massimo Firpo tratteggia un quadro inatteso delle origini della Controriforma, colte negli aspri conflitti ai vertici della Chiesa di Roma, con esiti destinati a lasciare un segno profondo e duraturo sulla sua identità storica, teologica e pastorale.
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Anno edizione:2014
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ANDREA VARUTTI 14 maggio 2016
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