Indice
Le prime pagine del romanzo
Io sono Uhtred. Mio padre si chiamava Uhtred, e suo padre e suo nonno si chiamavano Uhtred a loro volta.
Mio padre scriveva così il suo nome, che però poteva variare, diventando Utred, Ughtred o perfino Ootred. Alcuni di questi nomi sono riportati su antiche pergamene in cui si dichiara che Uhtred, figlio di Uhtred e nipote di Uhtred, è e sarà sempre l’unico padrone legittimo delle terre i cui confini sono chiaramente contrassegnati da muretti di pietra, fossati, filari di querce e frassini, paludi e coste lambite dal mare. In queste terre nell’estremo Nord del grande Paese che da poco abbiamo imparato a chiamare Inghilterra, sorge una fortezza che noi chiamiamo Bebbanburg, sferzata dalle onde sotto un cielo ventoso.
Io la vidi per la prima volta quando ero già un adulto. In quell’occasione tentammo di conquistarla, ma non riuscimmo a superarne le mura possenti. A quei tempi era il cugino di mio padre a governare su Bebbanburg. Suo padre si era impadronito della fortezza e delle terre circostanti, strappandole al mio e dando inizio a una faida. I religiosi avevano cercato di porre fine allo scontro, dicendo che i sassoni cristiani non avrebbero dovuto farsi la guerra, bensì lottare insieme contro i normanni, sia danesi che norvegesi, che in quanto pagani erano gli unici nostri nemici.
Mio padre, però, mi aveva costretto a giurare che avrei fatto di tutto per rientrare in possesso della fortezza. Se non avessi rispettato la promessa, mi avrebbe diseredato come aveva già fatto con mio fratello, il suo primogenito, che lui aveva anche rinnegato come figlio, privandolo del nome che gli spettava. E non perché mio fratello non avesse voluto lottare per la riconquista delle terre avite, ma perché aveva scelto di essere un prete cristiano. Così io, che alla nascita avevo ricevuto il nome di Osbert, sono diventato Uhtred di Bebbanburg.
Mio padre era un pagano, un signore della guerra, un uomo che incuteva paura a tutti. Più volte mi ha raccontato del timore che lui stesso aveva provato nei confronti di suo padre, ma io non gli ho mai creduto perché nulla sembrava impaurirlo. A detta di molti, se non ci fosse stato mio padre, la terra in cui vive la nostra gente avrebbe corso il rischio di chiamarsi Terra dei Danesi e la popolazione sarebbe stata costretta ad adorare Thor e Odino. Io ritengo che sia vero, anche se strano, perché mio padre odiava il dio dei cristiani, il «dio inchiodato», come lo chiamava lui, ma ciononostante ha combattuto contro i pagani per tutta la vita. I preti si rifiutano di ammettere che l’Inghilterra esiste solo grazie a mio padre, si ostinano a dire che è merito dei guerrieri cristiani, ma il nostro popolo conosce la verità. Mio padre dovrebbe essere chiamato Uhtred d’Inghilterra.
Tuttavia, nell’anno del Signore 911 questa Inghilterra non esisteva ancora. C’erano il Wessex, la Mercia, l’Anglia orientale e la Northumbria, e in quell’inverno che stava per lasciare il passo a una cupa primavera io mi trovavo sul confine tra Mercia e Northumbria, in una zona molto boscosa a nord del fiume Mærse. Avevo con me trentasette uomini a cavallo, fermi in attesa tra gli alberi spogli di un folto bosco. Sotto di noi si apriva una valle in cui un torrentello correva rapido verso sud, tra anfratti ombrosi in cui la brina ghiacciata non accennava a sciogliersi. La valle era momentaneamente deserta, perché i sessantacinque cavalieri che vi si trovavano poco prima avevano seguito il corso d’acqua fino al punto in cui questo piegava bruscamente a ovest, ed erano scomparsi.
«Manca poco ormai», commentò Rædwald.
C’era nervosismo nella sua voce, perciò non replicai. Anch’io ero nervoso, ma cercavo di non darlo a vedere. Pensai invece a cosa avrebbe fatto mio padre, se fosse stato al mio posto. Sarebbe rimasto in groppa al suo destriero, immobile e leggermente chino in avanti, con un’espressione torva sul volto. Così adottai quello stesso atteggiamento e scrutai la valle, stringendo con una mano l’elsa della spada, che io avevo chiamato Becco di Corvo.