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“Mistero doloroso” è un racconto dall’andamento fiabesco, narrato con uno stile prezioso e lievemente arcaico. si riconoscono, fin dalle prime pagine, gli elementi cari a Ortese: Napoli, il Settecento, il labile confine tra umano e animale, tra visibile e invisibile. tutto si concentra in cento pagine dense e leggere allo stesso tempo. i protagonisti sono una quattordicenne di umili origini e un principe giovane e irrequieto. il loro incontro ha una conseguenza inevitabile, l’amore. l’amore è “un’implacabile necessità”: è inevitabile, è inspiegabile, è al tempo stesso strazio e gioia. ma c’è qualcosa di familiare, in queste pagine: e infatti, nell’interessante postfazione, Michela Farnetti sottolinea i punti in comune tra Florì, la protagonista, e la Silvia della poesia di Leopardi. (continua su Instagram: @lunediomartedi) – “E in lei era una grande e triste confusione, e quel dolore, al centro, di una cosa atroce e vellutata, una rivelazione, come un portento [...]. Un dolore caro, che non se ne andava, oppure andava e tornava, come un fratello, oppure come una porta che si apre e si chiude, mostrando il turchino scuro del cielo.”
Una strana inquietudine mi coglie quando penso che certe pagine, come quelle di questo piccolo, prezioso romanzetto, avrebbero potuto esistere, per sempre, inutili e dimenticate sul fondo di un cassetto mai aperto, inaccessibili a quel pubblico famelico ed affezionato di lettori per il quale, forse, erano state concepite e scritte (perché la riuscita di un'opera, il fatto che riesca a produrre una qualche eco nella sensibilità di chi legge, ad altro non è paragonabile se non ad un incontro, quasi a metà strada, tra autore e lettore; e tanto più forte e viva sarà, nello scrivente, l'immagine del suo destinatario, tanto più facilmente avverrà questo piccolo miracolo di inspiegabile, privilegiata intesa, ma sarebbe, forse, meglio chiamarla identità, tra le speranze di chi scrive e le aspettative di chi legge). E' un fortuna, direi, se c'è ancora qualcuno che cerca (e mai si stanca di cercare), tra le carte disperse ed i fogli senza seguito, il filo di una storia compiuta ed intera (che, forse, più per dimenticanza che non per pudore, l'autore ha mancato di consegnare al proprio editore), ennesima, minuscola tessera di quel grande mosaico che è la produzione di uno scrittore, e nel quale vanno fondendosi storie e poetica (la quale presenta caratteri di instabilità e mutevolezza, soggetta com'è agli umori capricciosi, ai volubili entusiasmi del "padrone"). Magia della parola, del narrare, dello scandaglio profondo e oscuro nell'animo umano. Regge principesche, damaschi, liturgie barocche da un lato, dall'altro la miseria buia dell'umile dimora dei servi. Una scintilla, all'improvviso, tra i due mondi. Che ne sarà? La parola alla Ortese, la maga.
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