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Enigmatico ed essenziale, intessuto di tante voci e di fili, che trovano un appiglio nell’epilogo, come in ogni buon giallo dell’anima che si rispetti. Il protagonista del secondo romanzo del francese Jean-Philippe Blondel potrebbe essere un anno del secolo scorso, quello del titolo, “1979”. Il periodo dei ricordi dei protagonisti è quello, ma la portata degli eventi storici è pressoché esigua nelle loro esperienze. Sono faccende intime però, quelle che di cui è intessuto il romanzo di Blondel, tutto giocato sulla tensione: eventi sommersi dall’oblio riemergono dopo anni, allorquando in un anonima strada qualcuno disegna su un muro un graffito con le quattro cifre che compongono il 1979, quattro cifre – un po’ sbavata la vernice sulla terza – di cui si accorgono in fretta tutti gli abitanti del quartiere, alcuni dei quali con la propria voce e un racconto in prima persona costituiscono i brevi capitoli del libro. Certi eventi riemergono lentamente dalla memoria dei protagonisti, poi tornano e lasciano il segno. In “1979” si crea così un puzzle polifonico che parte dalle prime enigmatiche pagine e pian piano si svela, in un enorme climax, nella chiosa del romanzo. Nelle case dei protagonisti (le sorelle Lambert, il giovane Julien Solliers, Fabien Moravia, Paul Enero, il più preoccupato di tutti, e altri…) c’è un travaglio interiore, un dolore che riaffiora, una gioia quasi dimenticata, un evento che risale all’adolescenza: dall’assassinio di un uomo al primo bacio di due fidanzatini, da un matrimonio alla fuga di un figlio da casa. La scritta, poi cancellata, si rivela insomma tutt’altro che insignificante, tocca nervi scoperti, mette a disagio taluni, fa fare i conti con speranze insoddisfatte, desideri disillusi, segreti sepolti.
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