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“<<Heil Hitler, signor pastore>>. Era come salutare con una coltellata” (p.26). In una lettera datata 16 marzo 1962 Primo Levi, dialogando con Albrecht Goes, definì questo romanzo o racconto breve (pubblicato per la prima volta nel 1950 e composto di sole 110 pagine) coraggioso: “Non è letteratura: è carne e sangue, sono pagine scritte da un uomo per gli uomini”. E’ l’ottobre 1942, siamo a Vinnycia (Ucraina). Qui è di stanza un cappellano protestante militare della Wermacht, prima che sia inviato al Comando Generale (Kommandatur) a Proskurov. All’indomani, dopo una notte burrascosa, deve assistere all’esecuzione di una sentenza del Tribunale militare e confortare, nelle sue ultime ore, il condannato Fëdor Baranowski. “Ho voluto vivere come un essere umano per qualche settimana, ecco; e ora la pago così. Questo era l’inizio. Anzi: il tema. Il titolo e la firma” (p.84). Notte inquieta è questo e molto altro. Goes descrive, infatti, tutto il male e la crudeltà della follia nazista, ma affronta anche temi come la religiosità, il libero arbitrio e la condanna della guerra e il tutto è riassunto in una sola notte. Fin dalle prime pagine il pastore non fa mistero del suo disgusto per il clima di ferocia che lo circonda: “Nella mia camera trovo alcune lettere, le getto in una borsa senza leggerle, quelle parole umane in mezzo a un qui e ora disumano. Non si legge adesso, non si sorride, non si ama…” (pp.15-16). D’altronde lo stesso Hitler non faceva mistero di considerare i cappellani militari un impaccio inutile e più volte era stato sul punto di abolirli del tutto. Non godevano di enorme stima nemmeno fra alcuni commilitoni, che li consideravano clown del paradiso. Per Goes la mostruosità del nazismo è incarnata nel maggiore Kartuschke (piccolo, grassoccio e sui quarantacinque anni), che non ha nemmeno l’ombra della dignità e la sua volgarità è priva di umanità e pietas. “<<Mi hanno detto che lei è già stato dal giudice. Allora è al corrente. Estrema unzione. Domattina tocca a lui>>. Non risposi. Per un attimo fissai gli occhi del mio interlocutore, poi sentii che il mio sguardo si volgeva altrove. Per orrore, per vergogna. L’orrore di pensare che ci sono uomini che non dovrebbero esistere. E costui era uno di quelli. <<Niente di divertente, eh dio santo>> continuò. <<Meglio una puttanella a letto. Che ne dici Schrotz?>> (…) Sono venuto con un incarico preciso - e quale incarico! - e quell’uomo, invece di parlare con me, come sarebbe stato suo dovere, si diverte con queste laide spiritosaggini. Mi sentirei vile come un cane se non lasciassi immediatamente la stanza. Che razza di uomo è? Da dove viene? Chi gli ha dato quei gradi?” (pp.26-27). Fa da contraltare alla malvagità del nazismo, personificato in Hitler e nei suoi uomini, il tenente Ernst, in una vita precedente pastore anche lui, ma che ora deve comandare il plotone di esecuzione quando Fëdor Baranowski sarà fucilato. In quella notte d’ottobre dal dolce profumo di vento umido, tra lui e il cappellano militare si instaura un dialogo in cui l’etica del dovere è contrapposta al rigore morale. Sono pagine di straordinaria bellezza. Tenente Ernst: “E se anche dovessimo sopravvivere, allora avranno il diritto di chiederci: che cosa avete fatto? E noi tutti ci metteremmo a dire: no, noi non abbiamo nessuna responsabilità, abbiamo fatto soltanto quello che ci è stato comandato. (…) volevo domandarle: noi siamo davvero superiori a tutti i vari Kartuschke? Non siamo anche più marci di loro perché sappiamo quello che facciamo? (…)” (p.55). Cappellano militare: “(…) Prima lei mi ha chiesto in che cosa noi ci distinguiamo da un Kartuschke e che cosa dobbiamo fare. Forse ci distinguiamo solo per il fatto che mai, in nessun momento, approviamo l’ingiustizia. E’ vero. Questa è l’amara verità: siamo dei complici, il sabba delle streghe ci troverà tutti colpevoli, tutti quanti. (…) Ora dobbiamo vivere con questa colpa. Poi, un giorno, quando sarà passato tutto, la guerra e Hitler, allora avremo un nuovo dovere e saremo leali verso quello” (pp.56-57). Può esistere, quindi, il libero arbitrio in guerra? Mentre il tenente Ernst è dilaniato dal dubbio atroce se comandare o meno l’esecuzione, il cappellano militare ha già risolto dentro di se il dilemma morale insito in quella situazione: la bilancia tra rigore morale ed etica del dovere deve pendere per ora a favore del dovere e non dell’umanità. Per ultima, ma non meno importante, è la condanna della guerra, che non può essere mai la risoluzione dei conflitti, e il monito che la memoria va coltivata affinché le tragedie non si ripetano: “Non si tratterà di odiare, allora, la guerra. L’odio, se si può dire così, è un sentimento positivo. Bisogna sconsacrare la guerra. Toglierle ogni incanto. Bisogna inculcare nella coscienza umana la certezza di come sia banale e laido questo mestiere di soldato. Che l’Iliade rimanga l’Iliade e il Canto dei Nibelunghi quel che è; ma noi dobbiamo sapere che lavorare con una pala e una zappa è più onorevole che andare a caccia di decorazioni. Dobbiamo dire che la guerra è sudore, pus, orina. Dopodomani lo sapranno tutti e lo sapranno per qualche anno. Ma lasci che passi un decennio e vedremo di nuovo crescere i miti, come gramigna. E allora ciascuno di noi dovrà essere al suo posto, con una buona falce” (p.57). Albrecht Goes ci insegna come si può restare umani anche nelle ore più buie della storia e ci regala questo romanzo intenso e pieno di emozioni. Il cappellano militare, protagonista e io narrante dell’opera, è un uomo colto e saggio, ma impotente di fronte al flagello della svastica e frustrato per gli obblighi che la vita militare impone. “Come servo del Vangelo - per questo ero stato chiamato qui - dimostrai quale fosse il mio posto: dalla parte dei vinti. La verità del Vangelo o la follia del mondo, la sua ironia e il suo furore. Testimoniai di quella realtà” (p.96).
‘Notte inquieta’ è il racconto di una notte del 1942, nel bel mezzo della guerra di Hitler. Un pastore protestante deve assistere un soldato condannato a morte nella sua ultima notte. La sua storia si intreccia con quella di un altro soldato e con le riflessioni del pastore, voce narrante della storia. Un punto di vista inedito sulla seconda guerra mondiale: quello di un uomo tedesco convinto dell’ingiustizia delle azioni di Hitler. Riflessioni toccanti e scrittura coinvolgente.
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