“Era buio nella stanzetta bianca, quando mio padre ammazzò mia nonna. Io ero là. C’era anche Carl....”. Lette le prime due righe sono stata inchiodata alle pagine. Liv è la voce narrante, la ragazzina di casa, la sorella di Carl, suo gemello che poi si scoprirà essere morto da piccolissimo. Liv ci racconta la vita della famiglia, ogni tanto con qualche episodio del passato anche con le brevi note/lettere che la madre ha conservato e nascosto per lei, sperando che potesse salvarsi e leggerle. È una famiglia normale all’inizio, con qualche nota caratteriale spiccata ma normale. Poi le cose che accadono e forse una predisposizione psicologica fanno deflagrare il disagio. L’amore diventa possessività, aver cura delle cose e non sprecare diventa raccolta ed accumulo compulsivo e scriteriato, la privacy famigliare diventa isolamento, paura di tutto quello che è fuori dal loro mondo malato. Liv conosce solo quel mondo, ama il padre, lo segue e lo ascolta ma ogni tanto ha dei dubbi e l’autrice è molto brava a raccontare le piccole incrinature che passano nei pensieri della bambina che al momento giusto riconosce a chi tendere la mano. Sembra stia svelando molto, invece no, è un romanzo che tiene agganciati fino all’ultimo paragrafo, esattamente, perché nelle ultime pagine la tensione si allenta pare tutto chiaro, scoperto, sanato, finalmente bene. Invece no, nell’ultimo paragrafo salta tutto e l’autrice ci lascia nel dubbio, lascia che chi legge tragga le sue conclusioni.
