La disciplina dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, che negli ultimi vent'anni, vale a dire dall'entrata in vigore dell'art. 22 della l. n. 142/1990, ha oscillato tra conservazione, sia pur utilizzando strumenti giuridici diversi da quelli tradizionali, delle gestioni dirette ed apertura alla concorrenza (tuttavia per il mercato e non nel mercato), vede ora affermarsi (definitivamente?) la seconda soluzione con la riscrittura dell'art. 23-bis, d.l. 25 giugno 2008, n. 112 operata dal d.l. 25 settembre 2009, n. 135 convertito con modificazioni dalla l. 23 novembre 2009, n. 166, che ha superato il vaglio di legittimità costituzionale. Non sembra infatti vi siano margini di dubbio al riguardo nel momento in cui la regola diventa l'esternalizzazione tramite affidamento a soggetti individuati mediante procedure concorrenziali ad evidenza pubblica ovvero a società miste, ma con il socio (operativo e non semplicemente finanziatore) scelto tramite gara, mentre la formula “in house” degrada ad ipotesi derogatoria, circondata da particolare cautela ove l'ente locale ne scelga l'utilizzo anche per il futuro. È caduto così l'equivoco, originato in larga misura da contestazioni un poco sfocate della Commissione europea a cui seguirono furbesche risposte del legislatore italiano, che pretendevano di ravvisare in tale formula l'adeguata apertura alla concorrenza sollecitata dalla Commissione stessa. Ciò senza affatto disconoscere la neutralità comunitaria tra le varie opzioni: ma una cosa è sostenere la legittimità della gestione diretta, alla stregua del Trattato e delle direttive di settore, altra, e non accettabile, rivestire di carattere pro concorrenza figure giuridiche che ne siano l'opposto. L'interpretazione della nuova normativa deve muovere dall'esperienza giurisprudenziale, interna e della Corte di giustizia, alla quale si devono sia il c.d. “in house providing” sia il salvataggio della società mista, salvataggio a cui ha dato un valido contributo, con proprie comunicazioni (alludo naturalmente a quelle relative al Parternariato pubblico privato) la stessa Commissione europea. Questo giustifica ulteriormente, oltre al loro intrinseco valore, gli ampi saggi dedicati a questi temi nel presente volume, con la ricognizione dei precedenti, indispensabili per comprendere la portata della riforma. Tra i non pochi problemi che restano irrisolti dal dato legislativo segnalo l'ambiguo art. 30 del Codice dei contratti, in parte ripreso dalle norme in commento. Rinviando naturalmente anche a questo proposito ai contributi a ciò specificamente dedicati, ritengo ancora una volta di sottolineare gli equivoci derivanti dal carattere polisenso intrinseco alla locuzione “servizi pubblici”, equivoci in larga misura riconducibili a non sorvegliati atti comunitari che hanno smarrito l'originaria consapevolezza che una cosa sono i servizi di cui l'Amministrazione abbisogna e ne ricerca il fornitore nel mercato, altra quelli che intende assicurare ai cittadini tramite prestazioni dirette od indirette proprie. Infine, una norma transitoria complicata al punto da prevedere, come si legge nello studio specificamente dedicato, due categorie d'ordine generale, e quanto alla seconda, ben cinque sottocategorie, con scadenze prossime a verificarsi, salvo proroghe, di cui non ci si dovrebbe stupire stante l'esperienza di questi ultimi anni. Un'ultima avvertenza: numerosi settori, a partire dal servizio di distribuzione del gas naturale, restano affidati alle proprie specifiche discipline, ovvero (si pensi al trasporto pubblico locale, non a caso oggetto di un'analisi allo stesso dedicata) direttamente regolati in sede comunitaria. Tuttavia, tenendo altresì conto delle maglie larghe ex art. 112 TUEL, non certo ristretto potrà essere l'ambito applicativo della riforma.
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