Irrinunciabile, quasi obbligatoria, la lettura dei romanzi di Rex Stout per gli appassionati di thriller e noir. Il personaggio di Nero Wolfe è tra i più iconici nella storia della letteratura gialla. Restio a confrontarsi con il mondo esterno, burbero, misantropo e misogino, grande appassionato e coltivatore di orchidee (ne possiede di rarissime e le segue maniacalmente), estremamente intuitivo, imperscrutabile, Nero Wolfe è un investigatore fuori dagli schemi. Raramente partecipa alle indagini sul campo, affidandosi al suo collaboratore Archie Goodwin (che rappresenta anche la voce narrante delle storie), mandato a verificare le varie piste e a cercare i sospetti. Interrogatori e approfondimenti di indagine si svolgono invariabilmente tra le mura domestiche di Wolfe, dove oltre a Goodwin vivono il giardiniere Theodore Horstmann, che con lui si occupa della cura delle orchidee, e il fidatissimo cuoco svizzero Fritz Brenner che asseconda l’altra grande passione di Wolfe: l’alta cucina.
Malgrado il lavoro di investigatore privato gli fornisca un ottimo tenore di vita, l’indagine per lui non rappresenta che un lavoro, appunto, da svolgere al meglio per terminare quanto prima l’impegno e tornare alle sue vere passioni. Anche l’orario di lavoro è strettamente programmato e ogni eccezione a questa regola è vissuta con estremo disturbo. La brillante intelligenza lo porta a trovare i responsabili dei delitti prima della polizia, creando una certa dose di competizione e insofferenza da parte degli inquirenti.
Il contesto è la New York degli anni ’30-’40 del Novecento della quale Stout ricostruisce mode, abitudini, ambienti sociali di varia estrazione con una netta prevalenza della media e alta borghesia, in grado di pagare il salato onorario di Wolfe.
Sbirciamo dalla porta socchiusa del suo studio: ci sono la scrivania di ciliegio, il mappamondo, l'armadio con la raccolta dei numeri del New York Times pubblicati nelle ultime settimane. E c’è lui, insaccato nella elegante poltrona inglese. Dinanzi a luì la famosa poltrona di pelle rossa dove fa accomodare il suo interlocutore, quasi un divanetto da psicanalista.
Nero Wolfe è prima di tutto il suo carattere. In quella mole considerevole, in quei centocinquanta chili che si muovono con eleganza nella casa di arenaria della 35esima Strada a due passi dall’Empire State Building, crepita un'intelligenza feroce, batte un cuore aristocratico che “vive il distacco dagli uomini e rifiuta ostinatamente di marciare in sintonia col mondo”. Nessuno può convincerlo o costringerlo a uscire di casa. Odia le automobili, non sale neppure sulla sua stessa auto guidata dal signor Goodwin, se non per eccezionalissime necessità personali.
Rex Stout non ha voluto creare solo un “grande” della letteratura poliziesca, ma, da scrittore di livello, ne ha modellato anche l'anima e la mente, la sensibilità e i gusti, ha concentrato sul personaggio ambizioni ed eccentricità.
È un genio – non lo possiamo negare -, un grande logico, una sorta di computer del delitto. Conoscere l’identità del colpevole è quasi meno importante che assistere al trionfo di questo massiccio e imperturbabile zar. Effetto di un buon giallo, ben narrato, ed è questo, in fondo, ciò che conta.
«Volete affidargli un'indagine? Prendete un appuntamento: sarete ricevuti dalle undici all'una o dalle sei all'ora di cena. Ma attenti: sugli orari non si sgarra.» - Goodwin
Molte le versioni cinematografiche e televisive dei romanzi. Tra tutti i protagonisti ricordiamo Tino Buazzelli (Wolfe) e Paolo Ferrari (Goodwin) nella serie tv anni Sessanta e Francesco Pannofino (Wolfe) e Pietro Sermonti (Goodwin) nella versione anni Duemila, entrambe RAI.