«Si ammazza troppo poco». I crimini di guerra italiani. 1940-43 - Gianni Oliva - copertina
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«Si ammazza troppo poco». I crimini di guerra italiani. 1940-43
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Descrizione


"Si ammazza troppo poco", ammonisce nel 1942 il generale Mario Robotti, comandante dell'XI Corpo d'Armata italiano in Slovenia e Croazia, e il suo diretto superiore Mario Roatta rincara la dose: "Non dente per dente, ma testa per dente". Nello scenario drammatico dei Balcani, dove l'aggressione italo-tedesca si intreccia con le esasperazioni della guerra civile e delle contrapposizioni etniche, l'Italia fascista reagisce alla resistenza jugoslava, albanese e greca con brutale durezza: rastrellamenti, villaggi incendiati, esecuzioni sommarie, internamento di migliaia di civili. In questo libro l'autore affronta il tema dell'Italia imperiale (1940-43) e quello dei 1857 ufficiali e soldati di cui fu chiesta l'estradizione per crimini di guerra.

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hardcover 230 9788804551294 Buono (Good) Libro usato proveniente da collezione privata,tracce d'uso sulla sovraccopertina.Le pagine risultano lievemente imbrunite dal tempo. All'interno in ottime condizioni..

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«Si ammazza troppo poco». I crimini di guerra italiani. 1940-43

Dettagli

230 p., ill. , Rilegato
9788804551294

Valutazioni e recensioni

  • Renzo Montagnoli

    Si ammazza troppo poco sembrerebbe una battuta, ma non lo è, purtroppo, perché fu la frase pronunciata nel 1942 dal generale Mario Robotti, comandante dell’XI Corpo d’armata italiano in Slovenia e Croazia per ribadire che era necessaria la massima fermezza nel reprimere il movimento partigiano, non limitandosi a fucilare i rei confessi, o comunque di cui si era provata la colpa, ma addirittura anche quelli su cui aleggiava un semplice sospetto. Da che mondo è mondo spesso le forze di occupazione si sono macchiate di eccidi, non di rado ingiustificati, nell’assunto che per i popoli vinti è necessaria la piena sottomissione, raggiungibile più facilmente instaurando un clima di terrore. Al riguardo, non si era sempre parlato di Italiani brava gente? Sì, e adesso venire a scoprire che le nostre forze di occupazione nei Balcani si sono comportate né più né meno come i tedeschi provoca un vero e proprio sbigottimento, tanto più marcato quanto maggiore é la convinzione che i nostri non solo non si fossero macchiati di crimini di guerra, ma addirittura avessero prestato aiuti di diverso genere alle popolazioni vinte. Se ci si pensa bene, tenuto conto che ogni guerra provoca un imbarbarimento degli uomini, l’idea dei nostri soldati pacifici vincitori assume la veste di una favola. Ci si meraviglia piuttosto perché i vari criminali di guerra italiani, fra i quali rientra appunto Robotti, non siano stati processati e puniti esemplarmente, o addirittura non sia stata consentita la loro estradizione reclamata dal governo iugoslavo o da quello etiopico. Al riguardo consiglio di leggere con estrema attenzione le pagine iniziali di questo interessante saggio storico, dove il nostro ambasciatore a Mosca Quaroni informa il Ministero degli Affari Esteri di non aderire alle richieste di estradizione, per una serie svariata di motivi, purtroppo pressochè tutti condivisibili, ma di provvedere, come estrema ratio, a processare i criminali di guerra in Italia, magari condannandoli al massimo a una trentina di anni, per poi, cessato il clamore e trascorso un lasso di tempo abbastanza breve, rimetterli in libertà alla chetichella. Per quanto tale soluzione tipicamente italica presentasse una sua valenza, fu applicata, e solo ufficialmente, a ben pochi casi, fra i quali quello del generale Mario Roatta; il militare, che nel 1934 era diventato capo del SIM (Servizio Informazioni Militari), fu infatti incriminato, fra l’altro, per aver avviato lo sterminio del popolo sloveno, venne catturato, incarcerato, ma stranamente il 4 marzo 1945 evase dall’ospedale militare dove era detenuto, probabilmente grazie al concorso dell’Intelligence inglese e di un suo sottoposto, e si rifugiò in Spagna. Fu condannato in contumacia all’ergastolo, ma al termine dei previsti gradi di giudizio finì assolto, beneficiando fra l’altro della famosa amnistia voluta da Togliatti. Come al solito, insomma, finì a tarallucci e vino, ma ciò non toglie che le dure e feroci repressioni nei Balcani ci furono, talmente dure che fra gli internati nell’isola di Rab (non solo uomini, ma anche donne e bambini) la mortalità risultò superiore a quella di Auschwitz, nel vero e proprio tentativo di sopprimere il popolo sloveno e non è improbabile che la triste vicenda delle foibe sia stata in parte una conseguenza del nostro operare in Slovenia e Croazia. Il libro, inappuntabile dal punto di vista storico, risulta tuttavia un po’ greve, il che però non limita l’interesse dello stesso, piuttosto elevato, perché porta alla luce fatti volutamente celati e riesce a dimostrare ancora una volta che se non si fanno i conti con il proprio passato le prospettive dell’avvenire non possono che essere estremamente incerte.

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