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Ho scoperto Sidonie Gabrielle Colette prima del film “Cherì” del 2009, che l’ha riportata in auge. È avvenuto per caso sei o sette anni fa, all’età di venticinque anni, mentre cercavo sull’enciclopedia una voce alla lettera D. Poche pagine precedenti aperte per sbaglio e mi sono imbattuta in un’autrice che oggi è per me la miglior narratrice di sempre (nessuna donna è stata in grado di descrivere le situazioni nei propri romanzi così realisticamente e minuziosamente come fece lei). Al liceo la mia insegnante di letteratura italiana non ne ha mai parlato. Eppure Colette, bandita nei libri di testo, è legata all’Italia: con l’entrata in guerra del nostro Paese, nel 1915 si recò a Roma dove incontrò D’Annunzio e da lui fu influenzata a tal punto che inizialmente il suo saggio “Il puro e l’impuro” aveva il titolo dannunziano “Quei piaceri”. Citarla sarebbe stato pertinente. Certo, spettava a chi insegna francese menzionarla, ma io ho studiato inglese come lingua straniera, per cui testi come “Gigì” o “Il grano in erba” mi sono stati ingiustamente tenuti nascosti negli anni della formazione. Il meglio della letteratura francese del Novecento era per me circoscritto ai soliti nomi da Premio Nobel (persino quelli non furono mai accennati durante le lezioni. Li ritrovavo io qua e là nell’antologia. Non so se fu per ignoranza o disinteresse. Ad ogni modo fare dei parallelismi con la letteratura straniera in un corso di studi di storia letteraria nazionale con analisi testuale secondo me è fondamentale). Dopo aver letto sull’enciclopedia che Colette “con fine penetrazione psicologica scrisse numerosi romanzi, a volte autobiografici, variando sui temi dell’amore, della natura, degli animali”, ho voluto iniziare a saggiare la sua attività letteraria proprio con “Sido”, perché volevo capire il rapporto di lei con sua madre, e ho fatto un’ottima scelta. Sebbene Colette disse: «Un giorno forse si riconoscerà che “Il puro e l’impuro” era il mio libro migliore», io ritengo che il migliore sia “Sido”, anche se “Il puro e l’impuro” del 1941 resta un saggio di grande valore. Lo stile in questo breve romanzo è impeccabile, l’aggettivo puntuale, come in tutti i libri di Colette. Anche la trama, totalmente autobiografica, lo è. Nulla è superfluo o banale. La descrizione della sua famiglia si sente che è autentica e spontanea. È tutto scritto con passione e rispetto verso la letteratura (di sicuro è merito della censura. Quando si vieta di essere espliciti si è obbligati a narrare nella maniera più elegante ed enigmatica possibile. Oggi, purtroppo, la libertà di espressione annichilisce il buongusto. Ma nonostante Colette si sia posta dei limiti per non urtare la sensibilità di chi legge, per non offendere il pubblico decoro, fu ugualmente censurata per alcune opere). Nel capitolo “Selvaggi” di “Sido” è toccante l’episodio del fratellino che chiede alla madre le prugne secche e le nocciole. Sido era una grande donna e se Colette ha raggiunto livelli così alti nella sua produzione è sicuramente stato possibile grazie ad una figura femminile di spessore nella sua vita, qual è stata appunto la madre. Probabilmente i brevi romanzi di Colette non biografici (in cui comunque una parte delle vicende narrate sono state vissute in prima persona) saranno un po’ troppo ripetitivi per i temi trattati, un po' troppo sensuali e decadenti, ma come lei stessa ne “La nascita del giorno” (in cui parla ancora molto di Sido) chiarisce: «Quant’era giusta l’osservazione di uno dei miei mariti: “Ma non puoi scrivere un libro che non parli d’amore, di adulterio, di tresche nella vita?”. Se non avesse avuto fretta di correre verso i suoi convegni galanti, mi avrebbe forse spiegato che cosa può occupare a buon diritto, in un romanzo e fuori, il posto dell’amore…Ma lui se ne andava e io stendevo incorreggibile qualche capitolo dedicato all’amore, al rimpianto dell’amore, un capitolo tutto accecato dall’amore.». Erano i primi anni del Novecento, molte donne non avevano il diritto di conoscere il mondo, la politica, di leggere giornali perché private dell’istruzione. A personalità della letteratura (e del teatro) come Colette noi donne moderne dobbiamo molto, non possiamo dimenticare il loro contributo né tanto meno l’amara massima di Colette «Una donna che si crede intelligente reclama gli stessi diritti dell’uomo, una donna intelligente ci rinuncia…». Tutte noi per rispetto dovremmo come minimo leggere con piena coscienza quello che ci hanno lasciato.
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