Passeggiando tra le amene campagne e colline che circondano Firenze ci si imbatte in un insieme di case che si chiama Santa Maria a Coverciano. Qui l'attenzione è subito attirata da un'abitazione bassa e oblunga, con le sue persiane verdi, gli scalini di pietra, le inferriate bianche e arrugginite e il cancello d'ingresso, niveo e rugginoso anch'esso, che rimane aperto a metà tutto l'anno, sia il giorno che la notte. Ma ciò che più accende la curiosità è il sostare frequente di automobili signorili davanti a questo cancello, e il gran via vai di gente che ne deriva, tutte persone di un certo lignaggio, dalle eleganti signore alle fiorenti fanciulle, fino ai prelati d'alto rango. La giustificazione di questo trambusto è da ricercare nell'attività delle padrone del casolare, Teresa e Carolina, inequivocabilmente indicata nella dicitura in testa alle loro fatture: SORELLE MATERASSI Cucitrici di Bianco - Corredi da Spose. Una vita interamente dedicata al lavoro, anche se in questo caso si potrebbe quasi parlare di arte per la bellezza e precisione delle loro creazioni che le hanno rese famose e le hanno portate fino al Santo Padre. Per le due abili sarte ormai a cavallo dei cinquant'anni non c'è mai stato posto per la vita privata, per un piccolo svago, per una distrazione, per l'amore, se non nei loro sogni e nelle fantasie che si raccontano l'un l'altra durante l'unica sosta settimanale dal cucito e dal ricamo, quando la domenica pomeriggio, agghindate di tutto punto alla loro comica maniera, si affacciano alla finestra che dà sulla via e mentre osservano la gente che passa si abbandonano ad improbabili e fantasiosi ricordi di amori impossibili della loro passata gioventù. A movimentare queste malinconiche esistenze ci pensa il nipote Remo che entra come un raggio di luce in queste vite buie, regalando alle tenere zie una nuova ragione di vita e l'illusione di aver finalmente colmato il loro vuoto. Remo però si rivela ben presto un fannullone, un parassita, un prepotente, un subdolo. Compreso il forte ascendente che ha sulle zie e sulla loro devota domestica Niobe, le sfrutta fino all'osso, le manipola a suo piacimento, le riduce, per dirla a suo modo, allo stato di “scimmie addomesticate”. Spendendo e spandendo fior di quattrini in moto, auto, abiti eleganti e baccanali dilapida in poco tempo tutte le ricchezze accumulate delle donne in anni di duro lavoro, le trascina nei suoi bagordi facendo sì che tutta la stima e il rispetto di cui godevano si trasformino in sdegno e derisione. Ma il loro amore incondizionato, la loro adorazione quasi mistica nei confronti del nipote non cesserà neanche davanti al più bieco sopruso, al più umiliante scherno, al più pesante debito, al più triste abbandono. Ironia e malinconia si fondono in questo bel romanzo di Palazzeschi che disegna un ritratto romantico e divertente dell’Italia di inizio Novecento. Lo stile piacevole accompagna l’alternarsi di scene drammatiche e di situazioni grottesche, le descrizioni sono gradevoli e dettagliate, l’introspezione dei personaggi è profonda e interessante tranne che per Remo, la cui personalità rimane un mistero nascosto dietro un ghigno glaciale e incantatore. Il messaggio potrebbe essere duplice: da un lato c’è la conferma di come il gli affetti non si comprino con il denaro e di come quest’ultimo andrebbe usato con il giusto equilibrio, non accumulandolo senza goderne né sperperandolo senza ritegno; dall’altro si sottolinea quanto sia pericoloso farsi trasportare eccessivamente dai sentimenti, soprattutto quando questi siano unilaterali, ma al tempo stesso quanto sia bello e potente l’amore quando permette di dare senza chiedere nulla in cambio.
Le sorelle Materassi
Sorelle Materassi racconta la vicenda di due anziane zitelle che si lasciano spogliare dei risparmi accumulati in lunghi anni di lavoro come ricamatric da un nipote, il bellissimo Remo. La loro decadenza economica è però ripagata dalla gioia esuberante del ragazzo, che dona loro l'illusione di partecipare in modo vitale all'esistenza. Nel romanzo, qui presentato nella sua edizione del 1960, Palazzeschi realizza pienamente quella sorta di specularità espressiva, tematica, linguistica e psicologica che lo porterà per tutto l'arco della sua attività letteraria a giocare e a "divertirsi" con i contrasti, conducendo la narrazione sempre sospesa sul filo fra comicità e tragedia, fra il riso e la malinconia.
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Enrico Caramuscio 19 ottobre 2014
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