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Anno edizione: 2015
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Difficilmente dimenticherò questo libro. I personaggi tra il comico e il classico (un prete e un carabiniere con poche abilità) sono la struttura portante di questo racconto insieme, naturalmente, alla voce narrante che si palesa solo dopo i primi capitoli, Gesuino. La storia, che sembra non risolversi mai, si fa strada e si insinua in noi per la ricerca della verità. A farcire la storia tutti gli altri personaggi, come Carlo che diventerà anche in parte narratore, i carabinieri, Antoni il matto del paese, la sorella del prete ed il proprietario del bar Tore, ed ovvimente, ma non meno importante, Matteo. La capacità di Nèmus sta tutta nelle parole che, come lui stesso cita, sono il mezzo per arrivare a ciò che vogliamo. Riesce a farci capire ed amare il dialetto, il senso della comunione di un piccolo paese, l'ospitalità di un popolo e l'amore per la terra. L'abilità di suscitare risate poi è per me un grande punto a suo favore. Insomma ho già pronto il suo secondo libro e di certo non mi perderò gli altri.
Un libro sotto l’albero, uno dei tanti, dentro una busta regalo Feltrinelli. All'inizio ho pensato: “E questo chi è?”. Mai sentito il nome dell’autore, mai comprato niente della casa editrice, la romana Elliot. Cominciato a leggere il giorno di santo Stefano, senza molta convinzione, con la solita spocchia (spesso giustificata) che si ha nei confronti delle opere prime, anche se scritte da autori di una certa età e cultura. Della trama è inutile dire, visto che la sinossi qui presente è abbastanza chiara. Ma è importante dire che questo è un libro di una profondità assoluta. L’autore si compiace del proprio stile di scrittura (forse fin troppo) e si apparta, con l’Io narrante, nel ruolo di aedo matto e balbuziente, incolto e, in tarda età, autodidatta. La storia è tragica, certo, ma il romanzo è pervaso da un’ironia e da una capacità di renderla in forma scritturale da vero maestro. E’ difficilissimo scrivere così. Parlare di cose tremende, delitti, sequestri, morti violente, con la capacità immensa di rendere la materia, a tratti, fortemente comica. E poi le continue e coltissime citazioni: da Shakespeare a Socrate, da Epicuro a Fabrizio de Andrè, dai gesuiti ai salesiani, da Socrate ai mottettisti sardi, fino all’apoteosi finale delle 95 tesi di Lutero, vera chiave di volta per risolvere il caso e motivo per cui il libro si chiama “La Teologia del Cinghiale”: “… come Lutero, cinghiale nella vigna del Signore”. Leggere questo libro è stata una bellissima avventura per il mio pensiero, in una Sardegna per niente magica ma durissima e realisticamente cruda e più attinente alla realtà. Penso che l’aggettivo più calzante sia “Sardonico”. Un riso amaro, ghignante, che nasce dalla sofferenza e dall'isolamento. Non è un libro “facile” da leggere e non “si divora”. Fa molto riflettere ed è stata una grandissima scoperta, per me.
Una piacevolissima sorpresa, questo romanzo di un autore sconosciuto al grande pubblico. Acquistato dopo aver letto una recensione sul Corriere della Sera, si è rivelato fin troppo ricco di argomenti e novità. A partire dallo stile, veramente originale e innovativo per arrivare alla storia, avvincente e mai scontata che ti tiene incollata fino all'ultima riga. Un romanzo più noir che giallo, secondo me, dove si traccia anche un sapiente affresco della Sardegna anni '60-70, quella prima della grande trasformazione in "smeraldina". Mi è piaciuto tantissimo, soprattutto perché non ci sono investigatori in grado di risolvere il caso e la verità sui morti viene custodita da un "pazzo", per modo di dire, perché proprio pazzo pazzo non è. E si ride pure, in molte pagine del libro. Una vera rarità, un noir dove si ride, si piange e si segue pure una storia che sembra vera, vista la bravura dello scrittore. Un acquisto azzeccato (finalmente).
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