Italia, 1946. Le tracce della guerra sono ancora profonde, ma nel Paese si avverte l'allegria di un mondo che, dopo tanto orrore, si scopre ancora vivo e ha voglia di ricominciare. E il Toro, il grande Toro capitanato da Valentino Mazzola, è uno dei simboli di quel fermento. Capace di scatenare forti entusiasmi, passioni intense, come quella che spinge il giornalista trentenne Manlio Cancogni a farsi centotrenta chilometri in bicicletta, da Fiumetto all'Ardenza, andata e ritorno, per veder giocare il Torino delle meraviglie, la più bella squadra mai vista. Livorno-Torino: zero a tre. Indimenticabile. Quel viaggio su due ruote oggi è l'occasione per lo scrittore, grande amante del calcio, di rievocare l'Italia del dopoguerra: il silenzio e la solitudine della città di Pisa ferita dalle bombe, la base americana, il campo dei prigionieri tedeschi di Tombolo e il devastato centro storico di Livorno contrapposti al fragore dello stadio dove la squadra granata, con le sue prodezze, riesce a far dimenticare tutte le miserie. Poi gli anni di Roma, quando Cancogni è al settimanale Mondo d'Oggi, e con lui ci sono il direttore Giorgio Bassani, Carlo Laurenzi e il pittore Valentino, e tutti, chiuso l'ufficio, andavano a Villa Borghese a tirare due calci al pallone con i ragazzi del quartiere. Una storia dove vita e calcio s'intersecano, diventano l'una lo specchio dell'altro, per raccontare un Paese che non c'è più.
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Anno edizione:2011
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