“Tu sei giovane Marceline, ti salverai.” Sono queste le ultime parole di suo padre. Suo padre aveva ragione, sì, ma non è vero che basta essere salvi per sentirsi al sicuro. Quando si assiste alla grandezza della crudeltà umana rimangono in noi delle cicatrici difficili da rimarginare, le stesse cicatrici che indossa Marceline. Dai suoi ricordi non sarà mai salva. Marceline ci fa entrare nella sua vita, percorre insieme a noi i suoi ricordi: dalla deportazione alla liberazione e al suo ricongiungimento con la famiglia. La lettera è carica di sentimento, densa e pungente: mi ha fatto rabbia vedere fino a che punto può spingersi la crudeltà umana, ma è stata capace anche di suscitare amore, l’amore che Marceline prova nei confronti di suo padre. Una lettera reale e commovente, mai noiosa. Suo padre aveva ragione, Marceline è tornata a casa, ma si può considerare salva? È una domanda che si pone anche lei a fine lettera, si chiede se non sarebbe stato meglio morire in quel campo di concentramento. Perché di morte non esiste solo quella fisica, ma anche quella spirituale e anche da quest’ultima non c’è via di scampo.
E tu non sei tornato
1944: Marceline, 14 anni, viene deportata insieme al padre ad Auschwitz-Birkenau. Lei si salva, lui no. Oggi ottantanovenne, in queste memorie in forma di lettera al padre, Marceline ricorda con straordinaria chiarezza gli orrori subiti, ma soprattutto rivela l’amore incondizionato che la lega al genitore, le cui parole al momento della deportazione – «Tu tornerai, Marceline, perché sei giovane» – l’accompagnano, spronandola a sopravvivere, per tutto il percorso che la attende, da un campo all’altro, da Birkenau a Bergen-Belsen, da Lipsia a Theresienstadt, fino alla liberazione e al ricongiungimento con la madre e i fratelli. Le sue frasi brevi, concise, ci presentano i fatti accaduti man mano che le ritornano alla memoria, e ci raccontano anche il «dopo»: il ritorno a casa, la difficoltà di tornare a una vita normale, le incomprensioni con chi vuole solo dimenticare, il matrimonio con l’intellettuale francese Joris Ivens. Un flusso di ricordi breve ma torrenziale, pieno di pathos, animato da un’incrollabile voglia di sopravvivere, rende impossibile staccare gli occhi dalle pagine di una delle testimonianze più forti consegnateci dalle vittime della Shoah.
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