Vermilion Hours

Le note sparse sembrano allungare il tempo, la loro ripetizione e le innumerevoli combinazioni evocano (o invocano?) l'infinita iridescenza della luce che accompagna l'alba, un rituale tanto inevitabile quanto imprevedibile. Con la sua Musique pour le lever du jour, composta nell'arco di due anni e completata nel 2017, Melaine Dalibert ha descritto il suo obiettivo come la creazione di “un pezzo infinito”, senza inizio né fine. Da allora, Melaine Dalibert ha eseguito Musique pour le lever du jour in una vasta gamma di contesti. Sperimentarla dal vivo, all'alba o al tramonto, al chiuso e all'aperto, lo ha portato a concepire una versione condensata di circa venti minuti: “un formato (quello di un lato di un LP) in cui mi sento a mio agio nell'esecuzione dal vivo”, dice. Troppo spesso dimenticato: David Sylvian non è solo una delle voci più singolari e accattivanti della storia del pop, sia da solista che con la sua band Japan (1974-1982). È anche il creatore di un significativo corpus di opere ambient. Dalla metà degli anni Ottanta, le sue collaborazioni con Holger Czukay, Jon Hassell, Robert Fripp, Ryuichi Sakamoto, Christian Fennesz e Stephan Mathieu hanno arricchito questa eredità. I due pezzi che compongono Vermilion Hours sembrano ora un punto di arrivo. Inoltre, in modo commovente, portano il segno di un passaggio di testimone: tra Melaine Dalibert (nato nel 1979) e David Sylvian (1958) c'è lo stesso divario generazionale che c'è tra Sylvian e Czukay (1938-2017) o Hassell (1937-2021). Vermilion Hours è innanzitutto una reinterpretazione di Musique pour le lever du jour, in una versione al tempo stesso condensata e ampliata. Questo è davvero un “paesaggio musicale”, dove, se si ascolta attentamente, si può sentire il canto degli uccelli in sottofondo. Ed è questa la vera essenza di queste armonie sospese, di queste ore vermiglie che ci trasportano, come solo la contemplazione della natura può fare, in un altro spazio-tempo, un bagno sonoro che è anche un rinnovamento dei sensi.