Questo classico libro di Colin Turnbull, uscito in edizione originale oltre 30 anni or sono, e nella prima edizione italiana nel 1969, acquista per chi lo legga oggi da noi in Europa, in Italia, un imprevisto e prezioso valore di evocazione e annuncio. Alla sua prima uscita «L'Africano solitario» incuriosì e interessò in quanto reportage intelligente e spregiudicato, ricco di spunti concernenti la situazione culturale indigena presso varie società africane: spunti colti dall'autore direttamente sul posto, nel contesto della grande trasformazione verso la modernità e nel momento del primo positivo affacciarsi del continente nero all'orizzonte della storia mondiale. Ma oggi questo libro parla un linguaggio ben più coinvolgente, che tocca immediatamente noi europei tutti, impegnati nello spinoso e contrastato avvio d'una radicale rifondazione delle vecchie società nazionali del nostro continente, nel segno di un ineludibile multiculturalismo interetnico e di un associazionismo transnazionale mai prima così pressantemente imposti come esigenza storica innovatrice. (...) «L'Africano solitario» s'innesta direttamente sulla realtà odierna delle migrazioni di massa degli Africani verso l'Europa. Vuoto psicologico e culturale, solitudine erano, già allora, i connotati della crisi dell'Africano trapiantato in città, fuori del suo antico ambiente d'origine. Vuoto psicologico e culturale più profondo, solitudine più desolante sono i connotati del neoimmigrato in Europa, data l'enorme differenza d'ambiente e di civiltà fra i due poli a confronto per lui: un'Africa comunque sempre ancorata a radici preindustriali, l'Europa come un altro pianeta sconosciuto, contrassegnato dalla civiltà informatica, telematica, postmoderna, lontana spazi siderali dal livello africano. Se dunque drammatica è stata per l'Africano la prima sua emigrazione "interna", la seconda emigrazione, questa extra-continentale, si presenta inevitabilmente come un'esperienza traumatica. (dalla introduzione di Vittorio Lanternari)
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