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Anno edizione: 2023
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Un racconto poetico e sentitissimo, in cui Corona lascia libero il flusso dei ricordi e si concede ai suoi lettori con assoluta e generosa sincerità. I suoi luoghi, Erto, la diga, la montagna, così come le persone della sua vita, vengono filtrati dal tempo passato, e forse perduto, in un romanzo-monologo dove la profondità e il fascino del racconto sono impreziositi da una voce narrante sempre più risolta e convincente.
Mauro Corona scrittore lo si ama o lo si odia. No mezze misure. A me piace molto, per il suo narrare di montagna e di natura come nessun altro. La sua montagna e le genti che la abitano sono silenziose, scolpite, ferme, ligie a regole ataviche dure e scabre, a cui difficilmente si sfugge se non le si vive con rispetto e lealtà. Questo libro, Le altalene, è diverso dagli altri, esce dalla narrazione di fantasia per inoltrarsi in un racconto intimo e doloroso di se stesso e della propria vita. È un diario… quasi un testamento. La narrazione è in terza persona. Chi parla è il vecchio montanaro (Mauro Corona) che, giunto alla soglia della vecchiaia e salito da molto tempo sull’altalena della vita, è consapevole, non senza il timore del mistero che lo attende, che l’altalena si avvicina alla sua ultima oscillazione. E ripensa alla sua vita, a al fardello di eventi e persone che ha accumulato in 73 anni, alla casa in cui ha vissuto e al paese che ha mal sopportato gli eccessi del suo carattere. Non indulge e non perdona nulla, soprattutto a se stesso, questo Mauro Corona che sente l’urgenza di far capire al mondo cosa ci sia dietro a una personalità così controversa e spigolosa, che pochi hanno compreso, difficile da accettare perché vera e autentica nel bene e nel male, un male (come l’alcolismo) spesso portato verso limiti estremi. Questo vecchio narrante, fratello maggiore di tre bambini dolorosamente “orfani di genitori vivi”, di cui il secondo morirà ragazzo (una morte anche questa drammatica e “non risolta”) racconta tutto, non risparmia e non dimentica nulla di una vita difficile e dura fin dall’inizio, affamata di amore mendicato e non ricevuto, oppressa dalla violenza domestica… illuminata soltanto dalla protezione (dire amore è troppo, in quel mondo dominato dai silenzi, dai pochi gesti, dal pudore dei sentimenti) dei nonni paterni e di una zia sordomuta. Tenerezza, rimorsi, sensi di colpa, desiderio di riscatto e di far tesoro delle dure lezioni della vita per essere un genitore diverso, pacato e capace di dare amore e protezione (anche se negli occhi della figlia più piccola ancora oggi a volte vede che “lo guarda con occhi risentiti”. E a illuminare tutto, infatti, ci sono i figli e gli sforzi che loro gli danno la forza di compiere, come i vari tentativi di liberarsi dall’alcool. Sullo sfondo della sua storia e della sua Erto c’è il VAJONT, di cui fra pochi giorni si ricorderà il 60’ tragico anniversario. Il vecchio ricorda, in tanti flash ricorrenti nel racconto, il prima e il dopo quella immensa tragedia dovuta all’insensatezza e all’avidità umana. Ricorda le migliaia di morti, i quattrocento ottantasette bambini strappati alla vita… le loro altalene appese agli alberi, rimaste ferme e abbandonate, che non li vedranno più venire a dondolarsi… mute testimoni di una quotidianità semplice, essenziale, povera ma onesta, a cui è stato tolto il futuro. Ne consiglio la lettura. Bella anche la copertina, opera del figlio di Mauro, Matteo Corona.
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