Corrono gli anni ‘60 e un commissario deve svolgere, con particolare riservatezze, delle indagini relative all’omicidio della ventiduenne Rosetta, avvenuto molti anni prima, quasi al termine della seconda guerra mondiale. Il luogo ove è avvenuto il delitto è un paese montano del Piemonte, ai confini con la Francia, una realtà chiusa, dove il tempo scorre assai più lentamente che altrove e infatti anche la narrazione ha un ritmo che a definire blando sarebbe ricorrere a un eufemismo, perché, anche per l’impostazione strutturale (un capitolo con le riflessioni del commissario, un altro con il suo accompagnatore nell’inchiesta, vale a dire il sindaco), le parole si trascinano con la stessa velocità di una lumaca. Questo ritmo ci può anche stare nel romanzo, quello che invece mi sembra fuori luogo è far palesare un’ombra di mistero, un’atmosfera gotica che si rivelerà una bolla di sapone. La trama di un poliziesco non dovrebbe essere quella di un horror, basterebbe la suspense, sempre che l’autore sia in grado di crearla e in questo caso non mi sembra vi sia riuscito. Ci sono tutta una serie di invenzioni che stonano con una realtà che, pur essendo frutto di fantasia, deve essere tuttavia plausibile; mi riferisco all’indizio, alla traccia che trova il commissario in alcuni quadretti ex voto, riportanti in un angolo l’immagine del volto di Rosetta e in basso una strana macchia, mentre invece finisce con il rivelarsi una pittura con prospettiva anamorfica che, in un certo ordine, porta un messaggio. Se considerate che l’autore del dipinto, padre di Rosetta, è un’analfabeta e ha appreso alcuni rudimenti di pittura, la cosa appare poco plausibile. E poi ci sono dei segnali, tipici di un mondo sotterraneo, quali un percorso segreto in un castello, una messa officiata ogni anno da secoli in un ampio locale sotto il castello stesso, insomma l’autore sembra pescare, disorientando, in altri generi, con indizi che si riveleranno poi fittizi. Si tratta dell’opera prima di questo narratore torinese, un lavoro che mi ha lasciato più che perplesso, anche se per esprimere un giudizio compiuto sull’autore è mia intenzione leggere almeno un paio di altri suoi romanzi. Questo, intanto, pur presentando qualche elemento d’interesse, mi è sembrato abbastanza modesto.
L' anno che uccisero Rosetta
Anni '60. Inverno. In un piccolo paese nelle Alpi piemontesi giunge un commissario di polizia con l'incarico di indagare sulla morte di una ragazza del luogo, Rosetta, avvenuta nel 1944. L'indagine deve svolgersi in gran segreto e il commissario ha come unico referente l'anziano sindaco del paese: per motivi a lui oscuri, nessun altro deve essere informato dell'inchiesta in corso. Al protagonista non rimane che ascoltare le disordinate chiacchiere del sindaco e, attraverso esse, cercare di ricostruire i fatti così come essi si svolsero oltre vent'anni prima. Ma quella del sindaco non è certo una cronaca fedele, e l'omicidio ha radici molto più antiche, radici che affondano nella storia del paese e della Savoia.
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Autore:
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Edizione:3
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Anno edizione:1997
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Renzo Montagnoli 13 maggio 2019
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GABRIELLA LAI 24 ottobre 2011
E' il peggiore romanzo di Perissinotto, scritto con uno stile noioso e a tratti perfino volgare, che si riscatta soltanto nelle ultime 10/20 pagine che premiano il lettore che non si rassegna ad essere preso in giro dallo scrittore e sopporta così di aver perso tempo con le altre 160. dovrebbero, comunque, premiare, i coraggiosi che lo leggono sino alla fine.
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