Gli artigli del dragone. Crimini, violazione dei diritti umani e cultura di morte nella Cina del terzo millennio
Della Cina, un Paese grande quasi come un Continente, l'Occidente ha sicuramente una percezione surreale, a tratti addirittura paradossale. Se ne parla (anche molto), con essa si commercia (pure abbondantemente), ma è come se tutti fingessero di non vedere le macroscopiche piaghe che l'affliggono. La Cina, erede - comunque e nonostante tutto - del passato maoista, resta una grande potenza militare ed economica dove vige un regime ancora ispirato al dirigismo più anacronistico, ma soprattutto un Paese in cui si violano sistematicamente i diritti umani, le libertà fondamentali della persona e la dignità dei cittadini. Sono all'ordine del giorno, ancora oggi, arresti indiscriminati, azioni ingiustificate di polizia, abusi illegittimi. Nello spregio più totale dello Stato di diritto, la Cina continua a praticare su larga scala la pena di morte, mietendo annualmente migliaia di vittime. Si calcola che anche nel 2006 siano stati circa tremila i giustiziati (su un numero circa doppio di condannati alla pena capitale). Ma, a differenza degli altri Paesi più civili e giuridicamente avanzati - come gli Stati Uniti d'America - colpiti da pubbliche campagne di decisa condanna, la Cina suscita solo qualche sporadica protesta e viene menzionata solo come uno dei tanti Paesi in cui vige la pena di morte.
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Anno edizione:2008
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