Babelfish di Gino Pitaro, pubblicato da Edizioni Ensemble, è un libro emozionante e non lascia certo indifferenti. Sei storie che si svolgono in sei parti differenti del globo. Lingue diverse, usanze differenti, costumi e tradizioni da scoprire, il tutto legato da un unico fattore dominante: l'uomo. Il protagonista, l'io narrante dello scrittore che si materializza attraverso le proprie esperienze, amicizie, attraverso il proprio vissuto coinvolge totalmente il lettore, lo spinge nella sua rete creativa, facendogli ammirare tele di luoghi, nazioni, ambienti magici, mitici narrati da un lirismo espressivo convincente ed esplicativo. Spagna, Londra, Singapore, Roma, Ginevra, Francia sono universi lontani tra loro ma uniti dall'esperienza dell'uomo, legati dallo stesso sguardo intenso, commovente dello scrittore. Le parole fungono da ponte tra la pagina letta e la posizione geografica presa in esame, il lettore si ritrova completamente nel luogo evocato e, riga per riga, è convinto di esserci stato in quei posti, di averli amati e vissuti. C'è la boxe, ci sono i tori, c'è la malinconia e la gioia, c'è la vita densa e pulsante. L'immediatezza di Hemingway sembra fondersi con la risolutezza di Maupassant, i colori di Murakami si amalgamano perfettamente a quelli De Chirico e Fattori. Babelfish non è un flusso di coscienza ma un'opera ben calibrata che indaga l'animo umano infrangendolo contro le pareti del luogo designato, prendendo in considerazione tutte le sfaccettature delle città, dei suoi ospiti, delle sue luci e delle sue atmosfere. Babelfish è l'unione di più universi, di più spazi, di più realtà, è una guida all'interno del cuore umano e della sua anima. Il libro incarna appieno l'idea del viaggio e quando lo concludi capisci che non è ancora finita, c'è sempre un altro viaggio e un altro ancora. I suoi capitoli sono come aerei intercontinentali che ti trasportano da una parte all'altra del globo, da una parte all'altra della conoscenza. Un libro funziona quando arricchisce, quando ti modifica, quando ti regala il suo vissuto e Babelfish non fa eccezione.
Babelfish
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Autore:
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Editore:
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Collana:
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Anno edizione:2013
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Le storie di Babelfish sono un percorso a ritroso della nostra storia di “globalizzazione emotiva” contemporanea e non solo, che porta alla “ localizzazione”, in una dimensione soggettiva partendo dal sincretismo caotico della vita di tutti noi, per arrivare, attraverso il dettaglio, a recuperare l’unicità, l’originalità e l’irripetibilità di ogni essere umano. Le storie, apparentemente senza collegamento tra di loro, attraverso il rispecchiamento nell’altro, servono a costruire profili di noi stessi nei quali ciascuno si può riconoscere nella ricerca impegnativa di sé. Gli specchi, chiamati Michelangelo, Holly, Caterina, Sakura o Claudette servono da “spalla”, per usare un termine teatrale, necessari a riflettere in modo potenziato, quelle emozioni, quei sentimenti che senza il fenomeno ottico rimarrebbero in ombra, indifferenziati. Interessante e come la dimensione sincronica che apparentemente accomuna tutti noi, pian piano, nella narrazione, si dilata verso un diacronico, dove spazio e tempo si fondono in una condizione esistenziale unica, necessaria per la scoperta di un frammento di senso, fonte consapevole della nostra realtà soggettiva.
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Leggendo i racconti di Gino Pitaro tornano alla mente alcuni versi di Antonio Machado: «Ho sognato senza dormire, forse anche senza neppure svegliarmi», e alcuni passi di Calderòn de La Barca autore de La vida es sueño: «Siamo in un mondo tanto singolare che il vivere in esso è sognare; e l'esperienza mi insegna che l'uomo che vive, sogna ciò che è fino al risveglio». Le vite narrate da Gino Pitaro nei sei racconti che compongono Babelfish, si muovono costantemente lungo il nebuloso crinale che separa sogno e realtà. Due mondi che per brevi tratti camminano paralleli, improvvisamente si avviluppano creando nel lettore un angosciante smarrimento. Sono vite solitarie, completamente immerse in inestricabili labirinti emotivi, sempre alla ricerca di un solido appiglio, di una riva sicura su cui approdare, di una certezza o di una verità cui aggrapparsi per ridare unità ad una coscienza scissa e alienata. Sono presenze-assenze, appaiono e scompaiono immediatamente nell'inafferrabilità dei sentimenti; nel momento in cui sembrano prendere corpo subito diventano evanescenti. Fantasmi in cerca di una realtà, sono vite ribelli che s'interrogano e costantemente cercano d'opporsi al naufragio della memoria come condizione alienante dell'uomo postmoderno. J. P. Sartre a proposito dell'immagine affermava che è un analogon, cioè la presenza di un'assenza. Edgar Morin a proposito della televisione scriveva: «Così, lo spettacolo moderno è una grande presenza e al tempo stesso una grande assenza». Italo Calvino nella prima delle sue lezioni americane dedicate alla leggerezza, affermava che la postmodernità si caratterizza per aver sostituito agli atomi i bit, alla pesantezza la leggerezza. I personaggi di questi racconti sono sempre al limite tra la pesantezza e la leggerezza, sono atomi e bit, sono presenti e assenti, sono realtà e sogno. È fuori di dubbio, questa almeno è la mia sensazione, che Gino Pitaro voglia mettere in scena l'eterna fuga dallo smarrimento esistenziale dell'uomo postmoderno. E lo fa mettendo sempre i suoi personaggi in situazioni apparentemente senza una via d'uscita: ogni individuo è un'isola che galleggia solitaria e silenziosa senza uno scopo e senza una meta. Anche i luoghi dei racconti appaiono isole, diverse ma sempre circoscritte: l'arena (Il toro di Pamplona), il ring (Michelangelo, Ginevra e io), il cimitero (Holly), un negozio (Miss France), o la labirintica Singapore simbolo delle contaminazioni culturali, o un Hotel sul lungomare dove l'unica persona autentica è un bambino che gioca con il suo aquilone. Dov'è il varco? È possibile salvarsi dal vuoto di significato? È possibile recuperare la memoria e con essa il divenire storico? Il negozio di Miss France sembra racchiudere il passato, ciò che siamo stati, la memoria e quindi l'autenticità. Un'isola dove essere finalmente se stessi, dove poter giocare e continuare consapevolmente a sognare. Un'isola fuori da questo mondo. Claudio, il protagonista del racconto, trova in Miss France la sua àncora e si salva: «Il tuo mondo è un'àncora di salvezza per il nostro»; capisce che essere consapevoli di ciò che siamo stati è fondamentale per vivere il presente e prospettare un futuro. Il bisogno di memoria e di storia come àncora lo ritroviamo anche in Holly, racconto ambientato al Cimitero del Verano a Roma. Il silenzio di Chris, il suo voler prendere le distanze dal mondo, il suo voler osservare le altrui esistenze da lontano attraverso il vissuto immaginato delle persone sepolte, non è mai indifferenza. L'autore ad un certo punto osserva: «La storia è selettiva, vaglia e ripesa persone e situazioni». E più avanti vuole fare i conti con la Storia quando cita il sacrario delle Fosse Ardeatine e il cimitero di Cassino ma, aspetto importante, sempre partendo dalle singole esistenze che le tragedie della Storia hanno vissuto e sofferto. Il senso di estraneazione come condizione in cui l'uomo è costretto a vivere è ben rappresentato in Sakura. Ivan, il protagonista, inizialmente un 'estraneo' al mondo e alla vita, si innamora di Sakura e finalmente riesce a dare un senso alla sua esistenza. Il rapporto tra i due viene violentemente interrotto e Ivan è costretto a lasciare Singapore senza poter rivedere un'ultima volta Sakura. Tuttavia, Ivan viene completamente trasformato da questa esperienza: «Seduto su un molo della sua città guarda il tramonto in inverno. Dentro un mare gelido che però gli riscalda il cuore, sa che Sakura c'è e sa anche che ciò che gli incendia le guence non è il rosso della scia luminosa del sole. Un ponte oltre i confini del tempo e dello spazio lega ciò che fu a ciò che è, poiché spesso un evento passato genera un piccolo e curato giardino in noi; altre volte invece produce solo deserti e sterpaglie». Nell'ultimo racconto, Il dazio, attraverso lo scrittore Francesco Telese, Gino Pitaro chiarisce la sua poetica: «[...] randagismo esistenziale, senza randagismo non c'è scrittura. La trasversalità è la caratteristica dei nostri tempi, purché non si esageri. Amava crogiolarsi nei propri pensieri quando questi avevano solide basi reali. La vita presenta degli "incartamenti" che nella realtà producono conseguenze diverse da quello che ci si aspetta; per leggere davvero dentro la vita bisogna conoscerne il linguaggio segreto. È estremamente coerente a sé stessa, ma ben ricoperta da un telo dove si proiettano giochi di prestigio con lo scopo di nasconderne le reali trame e di aggiungere le azioni dei partecipanti al grande spettacolo dell'esistenza, azioni che poi finiranno per avere un'utilità diversa o sconosciuta rispetto a ciò che si crede». Solo la letteratura può conoscere il linguaggio segreto della vita, svelarne le reali trame, diradare la nebbia che ne offusca la reale consistenza. E tuttavia la letteratura ha bisogno di memoria per reinserire le singole isole abitate da naufraghi nel divenire storico, per farle sentire una piccola fibra dell'universo. Con Babelfish Gino Pitaro dà prova di una ormai raggiunta maturità artistica e può essere inserito a pieno titolo tra i migliori scrittori italiani dell'ultima generazione.
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