Steinbeck ci mette dalla parte di chi per vocazione o per travagliata disperazione decide di passare alla clandestinità per riscattare gli oppressi. La scelta comporta il rischio della vita e la dignità d’animale sociale con uno status riconoscibile ed accettato. I sindacalisti della “Battaglia” fanno scelte irreversibili, come i kamikaze delle società teocratiche, i terroristi o i partigiani, gente che si vota anima e corpo ad una causa, annullando ogni esigenza personale per vivere nella costante attenzione verso la necessaria affermazione del loro credo. Non si riesce ad intravedere nessun beneficio immediato nelle motivazioni del loro operato. Sono costretti a vincere la diffidenza degli stessi contadini che cercano di riscattare e sono relegati all’ultimo posto della scala sociale. Combattere fino alle estreme conseguenze usando solo le parole, qualche rudimentale tecnica di organizzazione della lotta e la forza della disperazione, sapendo già prima di iniziare che non se ne caverà assolutamente nulla, è qualcosa che tracima nella sfera mistica dell’esistenza. La forza dell’idea - tra l’altro non comprovata da alcuna esperienza diretta, annulla, da sola, qualunque procedimento sensato e trasforma questi uomini senza dignità in giganti tanto romantici ed eroici, quanto oggi possono risultare paranoici e insensati i terroristi che si lasciano esplodere nei bar affollati di Tel Aviv. La speranza covata in queste menti senza futuro, affamata dalla continua testimonianza dell’ingiustizia terrena, non ha nemmeno la consolazione di una vita ulteriore fatta di riscatti e giuste punizioni: sono atei ed agnostici, materialisti puri e duri che non hanno mai goduto di alcuna materialità. In una era percorsa da civiltà teocratiche in collisione, tanta dedizione a cause perse rilevata in epoche non sospette, aiuta a rimettere in fila i veri termini dei problemi.
La battaglia
«A me pare che l'uomo si sia gettato in una lotta cieca e spaventosa per sfuggire a un passato che non può ricordare, verso un futuro che non può né prevedere né comprendere. L'uomo ha affrontato e vinto tutti gli ostacoli, tutti i nemici, tranne uno. Se stesso. Quanto si odia l'umanità?»
Nel 1933 il presidente degli Stati Uniti d'America Franklin D. Roosevelt si trovò a dover fronteggiare una crisi disastrosa, conseguenza diretta del crollo del '29. Furono anni difficili per l'America e, per la prima volta, occuparsi di letteratura implicò per molti scrittori un impegno sociale fino a quel momento sconosciuto. A questa nuova generazione di scrittori apparteneva Steinbeck, che in questo romanzo narra la storia di uno sciopero di braccianti, del suo fallimento e di uomini che trasformano la propria disperazione in lotta per il riconoscimento dei propri diritti fondamentali. La battaglia, pubblicato nel 1936 e tradotto in Italia da Eugenio Montale nel 1940, fa parte di quei libri che riassumono lo spirito di un'epoca; un'opera amara in cui con uno stile naturalista, ma capace di rendere ragione della congiuntura storica, viene presentata un'immagine atroce, scandalosa ma a tratti acremente poetica del New Deal americano.
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Edizione:7
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Anno edizione:2015
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