Tra i lavori più ispirati del maestro di Racalmuto, questo breve romanzo affronta i temi più cari allo Sciascia "cacciatore di storie patrie". Falsificazioni, vanagloria, ipocrisia e opportunismo politico in una Sicilia elevata a metafora della condizione umana. Ogni pagina è un inno alla bella scrittura.
Il consiglio d'Egitto
Abdallah Mohamed ben Olman, ambasciatore del Marocco, si trova a Palermo nel dicembre 1782, per via di una tempesta che ha fatto naufragare la sua nave sulle coste siciliane. È questo il caso che fa nascere, nella mente dell’abate Vella, maltese, e incaricato di mostrare all’ambasciatore le bellezze di Palermo, un disegno audacissimo: far passare il manoscritto arabo di una qualsiasi vita del profeta, conservato nell’isola, per uno sconvolgente testo politico, "Il Consiglio d’Egitto", che permetterebbe l’abolizione di tutti i privilegi feudali e potrebbe perciò valere da scintilla per un complotto rivoluzionario. Così «dall’ansia di perdere certe gioie appena gustate, dall’innata avarizia, dall’oscuro disprezzo per i propri simili, prontamente cogliendo l’occasione che la sorte gli offriva, con grave ma lucido azzardo, Giuseppe Vella si fece protagonista della grande impostura». Pubblicato per la prima volta nel 1963, "Il Consiglio d’Egitto" è in certo modo l’archetipo, e il più celebrato, fra i romanzi-apologhi di Sciascia, dove lo sfondo storico della vicenda si anima fino a diventare una scena allegorica, che in questo caso accenna alla storia tutta della Sicilia.
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Mattia98 09 febbraio 2025Magnetico
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AlbertoD 24 febbraio 2024
Il "Consiglio d’Egitto" è la ricostruzione romanzata di due fatti realmente avvenuti nella Palermo di fine Settecento: l’opera di falsificazione di antichi codici arabi (la cosiddetta "minzogna saracina") da parte del monaco Giuseppe Vella; e la congiura giacobina di Francesco Paolo Di Blasi, avvocato riformista ed illuminista. Le due vicende si intrecciano sullo sfondo di una Sicilia il cui contesto sociale stesso si fonda sulla falsificazione (“E la nostra società, che è di per sé impostura, impostura giuridica, letteraria, umana… Umana, sì: addirittura dell’esistenza, direi…”), e in cui pertanto l’impostura del monaco Vella appare come atto naturale ed inevitabile (“In realtà, se in Sicilia la cultura non fosse, più o meno coscientemente, impostura; se non strumento in mano del potere baronale, e quindi finzione, continua finzione e falsificazione della realtà, della storia… Ebbene, io vi dico che l’avventura dell’abate Vella sarebbe stata impossibile…”). E in una società dominata dal potere mondano di baroni e principi, che appunto con la falsità e la mistificazione storica legittimano il proprio potere, la più grande illusione si rivelerà proprio quella di chi, come Di Blasi, pensa di poter riformare le istituzioni del regno ed abbattere i privilegi dell’aristocrazia, sostituendoli con uno stato di diritto. Saranno pure passati secoli e mutati gli attori, ma il retroterra culturale e sociale non sembrano poi cambiati così tanto. La solita penna secca, colta, ironica. Il ricorso alla storia per veicolare un messaggio fortemente attuale. Un altro bel romanzo di Sciascia.
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Antonino96 08 marzo 2023Consigliato!
Sciascia non ha bisogno di presentazioni. Un autore odi et amo, dal lessico pungente, dalla narrazione a tratti poco fluida, ma come non amarlo. Una sicilianità forte. In questo racconto, uno dei primi, si vive una storia apparentemente banale, ma di banale non ha nulla, un messaggio profondo, un mondo quello della Palermo bene di fine settecento che cela intrighi, cospirazioni e rivoluzioni sociali. Tutto da leggere... "I pensieri che attingono alle idee sono come tumori: ti crescono dentro e ti strozzano, ti accecano"
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