In un momento di successo editoriale per i ‘feel good’ nipponici, riproporre il testo di Fukazawa è una scelta controcorrente (coraggiosa e meritoria). Da queste pagine non arriva alcuna forma di consolazione o rassicurazione. Il villaggio sperduto tra le montagne dove si svolge la vicenda è un luogo fuori dal tempo, dominato dalla logica spietata della sopravvivenza, conseguenza di una cronica penuria di cibo. L’idea dell’anziano che deve farsi da parte in quanto improduttivo per la comunità non è così originale (anche fuori dal contesto giapponese), ma ha comunque un forte impatto emotivo sul lettore. La peculiarità di Fukazawa è di adottare il punto di vista di una ‘vittima’ che è però orgogliosa del suo sacrificio, certo condizionata dal retaggio tradizionale, ma anche mossa dalla generosa convinzione di agire per il bene della famiglia. Insieme a lei spicca la figura del figlio, combattuto tra dovere sociale e affetto materno, silenzioso eppure estremamente espressivo, capace di un ultimo atto di trasgressione che incrina il rituale codificato. Questa edizione Adelphi annovera una lunga e articolata postfazione del curatore (Amitrano), dove si ripercorre la vicenda biografica ed editoriale di Fukazawa, collocando il racconto nel solco del folklore giapponese e dando conto delle diverse declinazioni che ha avuto, a partire dalle trasposizioni cinematografiche.
