La botta in testa

Era un ragazzo difficile, a 10 anni la madre lo chiuse nell’educatorio triestino, un collegio che pareva un riformatorio, un luogo di pena che forse per Tiberio Mitri è la prima palestra di pugilato perché picchiare, lì dentro, era questione di sopravvivenza.

Poi una volta fuori i tanti mestieri per tirare avanti, le risse, i furti, i primi allenamenti nelle palestre di boxe, uno sport di riscatto al quale arrivavano ragazzi difficili, da ambienti malfamati. Mitri è pieno di energia e di carattere e riesce a sfondare rapidamente nel mondo del pugilato: «l’angelo biondo del ring» diventa campione italiano, poi europeo, un successo dopo l’altro, la ricchezza, la fama: a Mitri non manca nulla del cliché dell’uomo arrivato, compreso il matrimonio con la Miss Italia del 1948. Nel 1950 il gangster che controlla la boxe a New York lo porta al Madison Square Garden a giocarsi il titolo mondiale contro Jake La Motta. Potrebbe essere la consacrazione definitiva ma Mitri viene sconfitto. Da lì inizia il declino, la fine del matrimonio, il ritiro dal ring. Pubblicato per la prima volta nel 1967 La botta in testa è un’autobiografia impetuosa, una memoria che «con il suo gioco di flashback non è solo una grande e terribile storia italiana, - ha scritto Massimo Raffaeli - ma anche un bell’esempio di scrittura anni Sessanta», al punto che alcuni critici hanno pensato che ad aiutare Mitri a mettere ordine tra i suoi ricordi e a stendere il romanzo possa essere stato uno scrittore dell’epoca, forse Gian Carlo Fusco, autore di libri come Le rose del ventennio e Gli indesiderabili. È quanto ipotizza Dario Biagi nella Nota introduttiva di questa edizione. Ma il vissuto di Mitri è troppo forte per essere solo un racconto riportato, e le pagine, si pensi a quelle dell’infanzia e giovinezza a Trieste, hanno una forza sconvolgente, l’odore del refettorio si mescola con il rumore delle cinghiate e la fame, la guerra, gli odi, le rappresaglie tra italiani e slavi si muovono sullo sfondo, ma non troppo lontani, così come gli incontri, gli allenamenti, i viaggi, i k.o. fino alla carriera cinematografica una volta abbandonato il ring. Il tono spregiudicato, le mille avventure, le confessioni da psicanalisi di una vita piena e spericolata ne fanno un documento unico e insieme un romanzo amaro, a tratti brutale.