Il ‘Giordano’ calciatore, al quale il poeta Valentino Zechein dedicò un componimento a seguito di una folgorante tripletta ai danni della Juventus, si racconta attraverso le parole del giornalista Giancarlo Governi, in un transfert analogo a quello che Flaubert intraprese per la sua più importante e famosa opera; quell’Emma Bovary della quale assunse l’identità a metà XIX secolo. Il giornalista parla in prima persona a nome e per conto del calciatore pur non essendo, per sua stessa ammissione, avvezzo ai campi di gioco, avendo saputo attraversare il nostro mondo non dalle pagine della ‘rosea’, o di quotidiani sportivi, ma tramite la narrazione della vita e gesta di attori scomparsi (Sordi, Totò, Mario Carotenuto, Vittorio De Sica e Anna Magnani) d’icone del mondo del fumetto (Bonvi), sino alle digressioni ciclistiche dettate dalla rivalità fra Coppi e Bartali. Nonostante queste teoriche controindicazioni la scelta dello stesso Giordano di affidare a Governi le proprie memorie è complessivamente centrata. Nelle sapienti mani dello scrittore la vita del professionista diventa non solo una fredda statistica di successi calcistici o di retroscena a tinte in chiaro scuro di uno dei cannonieri, come si diceva un tempo, fra i più spietati del calcio di casa nostra; ma anche un modo per attraversare oltre un trentennio della nostra storia contemporanea fino ai meandri più nascosti degli usi e costumi della nostra penisola. La narrazione parte proprio da quella curiosa quasi omonimia con il monaco campano non incline all’abiura, sino al raggiungimento del luogo che quel ragazzino di Trastevere da sempre prediligeva, in altre parole il campo di calcio. Prima sotto l’ala protettrice di un parroco che lo costrinse a giocare, per strapparlo ai pericoli della strada, evento che accomuna il futuro bomber Laziale a Gianni Rivera; e poi fino al raggiungimento della massima serie. A fine lettura, quel che pecca nella narrazione del Giordano calciatore, è qualche cosa che si ricordi al di là di un semplice susseguirsi di successi e insuccessi; inizialmente narrati come tappe di avvicinamento ad un personale nirvana: il desiderio di ottenere il primo ingaggio o il viso dell’adolescente che si meraviglia di trovarsi al cospetto di alcuni mostri sacri dei quali era fino a poco prima un semplice tifoso; Nella seconda metà del libro, tutto questo diviene fonte di semplici ricordi senza particolari sussulti, incapaci di catturare l’attenzione di un non appassionato di ‘italica pedata’. Nel complesso però un libro che si legge tutto d’un fiato, alla stregua di una lunga e personale confessione fra l’uomo - calciatore e i propri appassionati.
Bruno Giordano. Una vita sulle montagne russe
«Inizio i miei lunghi incontri con Bruno che mi racconta tutto e io scopro che le nostre vite diametralmente opposte affondano le radici in un humus comune. Siamo nati e cresciuti a Trastevere in epoche diverse, ma quando il quartiere più famoso di Roma aveva conservato tutte le sue caratteristiche e soprattutto la sua umanità. Trastevere subirà la sua profonda trasformazione negli anni Novanta, quando io l’ho lasciato da tanti anni e Bruno ha smesso di essere un calciatore. Siamo andati nella stessa scuola elementare, abbiamo giocato in mezzo alla strada e dopo siamo passati all’oratorio della parrocchia. Poi le nostre vite hanno preso strade diverse ma ci siamo formati negli stessi territori, abbiamo respirato la stessa aria, abbiamo frequentato gli stessi luoghi, abbiamo conosciuto le stesse icone: il Gianicolo con i luoghi garibaldini, piazza Trilussa e piazza Giuseppe Gioacchino Belli, con i monumenti ai due grandi poeti romani, abbiamo fatto il bagno nel Fontanone e dal Ciriola a ponte Sant’Angelo. Lui giocava a piazza Santa Maria, di fronte alla basilica che conserva i mosaici del Cavallini, e io a via degli Orti D’Alibert alle pendici del Gianicolo, dove si respira l’aria del carcere di Regina Coeli. Bruno mi ha raccontato la sua storia, con i suoi trionfi, le sue gioie, ma anche le tragedie e le umiliazioni. Questo altalenarsi di fatti e di momenti positivi con i momenti negativi, di salite gloriose e di disarmanti discese hanno suggerito il titolo del libro. E Bruno questa sua vita “sulle montagne russe” me l’ha trasmessa così bene che ho deciso di raccontarla in questo libro in prima persona, prestandogli la mia capacità narrativa insieme alla mia cultura e alla mia sensibilità. Flaubert disse: «Madame Bovary c’est moi». Posso dire che Bruno Giordano sono stato io, il tempo della stesura di questo libro.» Giancarlo Governi
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Ciro Andreotti 10 ottobre 2017
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