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Questa serie, rigorosamente vietata ai minori, è una boccata d'ossigeno: affronta il tema del sesso senza tabù, grazie a personaggi strepitosi, da Hank Moody all'amico pelato e alla moglie. Questa prima stagione tiene botta episodio dopo episodio, anche se purtroppo tracolla vistosamente in un finale quantomai forzato. Consiglio assolutamente la visione, certe scene meritano e vi faranno sbellicare dalle risate.
Nella luce abbacinante del sole californiano, sulle note dei Rolling Stones, una porsche si ferma dinanzi a una chiesa. Ne scende il protagonista, con gli occhi troppo abituati agli stravizi notturni per tollerare il chiarore accecante del giorno. Nella sequenza successiva la telecamera indugia sulla sigaretta spenta nell’acquasantiera della Chiesa, dove il protagonista si reca per un dialogo diretto e accorato con il “Grande Capo”. A comparirgli dinanzi però è immediatamente un’avvenente suora, che gli si offre senza esitazione. Così comincia l’episodio pilota della prima stagione di Californication e forse mai incipit di telefilm americano fu più strepitoso. Successivamente scopriamo che il protagonista, Hank Moody, è uno scrittore in crisi di ispirazione e d’identità, alle prese, fra l’altro, con una figlia adolescente rockettara che adora e da cui è adorato, una ex compagna, Karen, che non ha mai voluto sposare, ma di cui è ancora follemente innamorato, e il nuovo compagno di Karen, che odia a morte, ma per cui si ritrova a lavorare. Basterebbero questi presupposti, probabilmente, ad attrarre l’attenzione sulle vicende di Moody, ma la serie si spinge oltre, senza lesinare vicende di droga, alcool e sesso. Di provocazione e di paradossi si nutre Californication e se ne fa, anzi, portabandiera. Il protagonista odia la standardizzazione e la banalizzazione del linguaggio moderno, ma lavora per un blog; guadagna solo grazie alla melensa trasposizione filmografica di uno dei suoi libri, ma finisce per scrivere il romanzo che dovrebbe segnare la sua rinascita su una “telescrivente” e senza salvarne copie. “Un uomo analogico in un mondo digitale” lo definisce, durante un incontro furtivo d’amore, una neo-hippy conosciuta al supermarket che resterà anonima. Ricco di citazioni musicali (non solo i Red Hot Chili Peppers del titolo, ma anche Bob Dylan, i Rolling Stones, gli Slayer e così via) e letterarie (in primis Bukowsky), Californication non si risolve solo in una divertente e pungente satira del platinato star system americano (basti pensare alle ripetute frecciatine contro la coppia Cruise-Holmes, che costituiscono il prodotto principale di tale showbiz), ma diventa un pugno al perbenismo e alle certezze della società americana, in particolare il sogno della famiglia felice, chimera irraggiungibile, costantemente perseguita e puntualmente perduta dallo scrittore-blogger. Nelle prime settimane di programmazione molti sponsor si affrettarono a ritirare il loro sostegno alla serie per i contenuti troppo spinti. Il sesso, effettivamente, sovrabbonda, è un dato innegabile. Ma, verrebbe da considerare, ciò avviene in Californication non di più che nella televisione e nella società moderna. E, di certo, in maniera non maggiormente ipocrita. Nella serie di T. Kapinos, la sua costante riproposizione, invece, appare intenzionale e finalizzata proprio a una consapevole presa in giro delle ossessioni e dei vizi della nostra società. Che l’iperbole costituisca una delle chiavi dell’umorismo è risaputo. Un’altra è, di certo, il paradosso. In Californication sono presenti entrambi, creando salde basi per un'ironia brillante e intelligente, che ora assume i connotati del sarcasmo, ora quelli del semplice sorriso bonario. Il genio di Tom Kapinos e l’interpretazione insuperabile di un David Duchovny mai così sexy e bravo ci offrono uno dei personaggi più esilaranti della storia delle serie televisive americane. A suo modo, un antieroe dei nostri tempi, accattivante, irriverente e irresistibile. Adorabilmente politically incorrect.
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