Capitalismo di guerra. Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne) - Alberto Saravalle,Carlo Stagnaro - copertina
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Capitalismo di guerra. Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne)
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Descrizione


La guerra è entrata nella nostra vita, sebbene i media parlino ancora solo di lontane minacce e di rischi potenziali. Questo libro mostra come un conflitto, di tutti contro tutti, sia in realtà già da tempo in corso. E sia molto più vicino a noi di quanto si creda. Un contratto di acquisizione concluso nel 2024 tra due delle principali società italiane contiene una clausola che consente il recesso qualora dovesse scoppiare un conflitto che coinvolga l’Italia. Non era mai successo prima. Fino a poco tempo fa, nell’Unione europea clausole simili sarebbero state impensabili. Non è che l’ultimo passo di un fenomeno che viene da lontano. Numerose battaglie economiche, non solo tra competitor strategici come Usa e Cina, ma anche tra alleati come Stati Uniti e Unione europea, potrebbero rapidamente degenerare. Non accadeva dalla fine della Seconda guerra mondiale. Le grandi potenze rivaleggiano per preservare la propria sicurezza economica e attivano un circolo vizioso che da un giorno all’altro potrebbe dar luogo a un’irreparabile esplosione militare. Gli autori ripercorrono tutte le tappe che ci hanno portato fin qui, dalla crisi finanziaria del 2008, e ci mettono a disposizione un racconto essenziale e accessibile a tutti, per conoscere davvero il mondo in cui stiamo vivendo e quello che stiamo lasciando ai nostri figli. La storia ci insegna che, quando i popoli smettono di scambiare, allora finiscono per combattere. L’unico modo per raggiungere il fine politico della pace è utilizzare lo strumento economico del commercio e del libero scambio.

Dettagli

224 p., Brossura
9791222500546

Valutazioni e recensioni

  • ormos

    “La storia ci insegna che, quando i popoli smettono di scambiare, allora finiscono per combattere”. Questa frase, posta proprio al principio del libro, ci catapulta direttamente al centro delle scelte di politica economica ed estera di questi ultimi tempi: non si parla più di integrazione, di globalizzazione, ma di sovranismo, di dazi, con conseguenze nei rapporti internazionali su larga scala. Gli autori sono chiari nell’esprimere il concetto: “I Paesi si stanno ripiegando su loro stessi, la politica economica viene per lo più condotta in nome della sovranità e della sicurezza nazionale e le occasioni di conflitto si moltiplicano”. Prendendo le mosse dalla storia recente, si arriva facilmente a dimostrare che “come il libero scambio prospera nella società aperta e rafforza la democrazia liberale, sovranismo economico e nazionalismo politico sono strumenti imprescindibili nell’armamentario delle autocrazie e concorrono a legittimare molte decisioni in senso illiberale”. Lo stesso titolo del libro riecheggia una situazione che sembra aver imboccato una via a senso unico: “protezionismo, interventismo pubblico, conflittualità permanente (non solo con Paesi rivali, ma anche con quelli alleati) in nome della sovranità strategica e della sicurezza nazionale”. D’altra parte la narrativa che ci viene proposta, anche dai media, è questa: “A forza di parlare di conflitti, di ripetere che non possiamo fidarci degli altri e dobbiamo attrezzarci per farne a meno, di invocare insomma che l’economia sia riorientata “come se fossimo in guerra”, inevitabilmente prima o poi troveremo qualcuno che penserà che tanto valga andarci davvero in guerra”. Insomma, lo scenario che ci aspetta non è ottimistico, speriamo in una inversione di tendenza che riporti i Paesi (soprattutto i grandi della terra) a ripensare le relazioni internazionali con maggiore apertura.

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