Carnet di viaggio

Premessa: chi ha amato “Blankets” (e chi non l’ha amato?) amerà alla follia anche “Carnet di viaggio”. Craig racconta i suoi due mesi e mezzo di viaggi fra Francia, Spagna (per dei tour promozionali) e Marocco, ma non racconta i posti, racconta se stesso e le sue reazioni in base agli stimoli esterni. È un racconto profondamente intimo, e, come in “Blankets”, coraggiosamente onesto. Craig non è felice, e vive il viaggio accompagnato da un costante senso di colpa, da nevrosi e paturnie, di cui si vergogna, ma che non nasconde. Anche lo stile di disegno ricorda tanto “Blankets”, dove spesso la realtà e le figure si piegano all’interpretazione dell’autore, rivelando molto più di quanto potrebbero mai fare le parole. E torna quell’introspezione paurosa, che obbliga a guardar anche dentro di noi... perché se una persona si mette a nudo davanti a te, per empatia, lo fai anche tu. Per questi motivi, per un motivo cronologico e per altri che non posso citare, mi vien da considerare “Carnet di viaggio” il sequel spirituale di “Blankets”... perché dopotutto anche l’effetto che dà la sua lettura è lo stesso: il bisogno, la voglia di stringere Craig fra le braccia e dirgli “grazie”.