Lì abitavano i nonni, tanti anni prima e l’autore, tornato sul posto, ricorda quelle case dai tetti rossi che si trovavano poco distanti. Si trattava di un manicomio, una struttura prima riconvertita e poi dismessa dopo l’introduzione della legge Basaglia del 1978 che ne prevedeva la chiusura. Ospitava i casi più disparati, da persone realmente affette da malattie mentali a qualsiasi genere di portatori di handicap o disadattati, emarginati o, comunque, problematici. Alle scene dei Tetti Rossi, Alessandro alterna i suoi ricordi di bambino con i nonni, nella loro casa così prossima al manicomio, alle loro paure per questa realtà che nessuno, in quell’epoca, era preparato ad accogliere o, almeno, accettare. Se l’argomento è sicuramente significativo, per la trattazione dello stesso mi aspettavo qualcosa di più. A tratti un po’ lento.
Le case dai tetti rossi
In occasione della vendita della casa dei nonni, Alessandro torna ai tetti rossi, ovvero la grande struttura dell'ex ospedale psichiatrico di Ancona, complesso inaugurato a inizi Novecento e riconvertito dopo la Legge Basaglia del 1978. Il distacco dalla casa dell'infanzia diventa per lui la soglia di un viaggio nel tempo, nei ricordi di quando ragazzino gironzolava intorno ai cancelli per vedere gli internati, di quando Ancona e le Marche tutte confinavano tra quelle mura chi non aveva retto alla Seconda guerra mondiale. A dare una svolta alla gestione dell'ospedale, sulla falsariga di Basaglia, Alessandro ricorda il dottor Lazzari. Il racconto poetico e illuminante di un pezzo di storia del Novecento spesso dimenticato, una riflessione sulla follia, l'integrazione e la libertà.
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Anno edizione:2022
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In commercio dal:7 aprile 2022
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Anny 07 dicembre 2022
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Federicabookrider 07 agosto 2022lettura interessante
Alessandro Moscè introduce i lettori in una storia personale che ne racchiude tante altre: Le case dai tetti rossi ci porta nel manicomio di Ancona (il titolo fa riferimento alla struttura); qui scopriamo vite immaginarie che nascono dalla realtà. Nello stabile di via Cristoforo Colombo ci sono barboni, persone con vissuti difficili, beoni sfortunati, persone limitate da handicap fisici o mentali più o meno gravi; in generale, individui che per un motivo o per un altro erano difficilmente inquadrati nella società. Le persone che affollavano il luogo, oggi, avrebbero vissuto normalmente – giustamente – tra noi. I racconti dell’istituto si alternano con Moscè che ricorda, guardando la struttura ormai vuota, i bei momenti legati ai nonni e la dimensione del quartiere, dove in ogni caso diventava centrale l’ex manicomio. Era un luogo molto moderno, grazie al personale. Non ci troviamo di fronte a storie da Report, anzi. Il primario è in contatto con Franco Basaglia, proprio lo psichiatra che ispirò la legge omonima del 1978 con cui cambiò radicalmente il destino di tanti dimenticati. «In manicomio l’arte aiutava i pazienti a sentirsi meglio. Dipingendo si assegnavano un ruolo, si fortificavano, si proteggevano dalla corrosione dell’anima. Avevano bisogno di riconoscimento, approvazione. Animavano un mondo che nel segno lasciava il mistero della loro stessa condizione di persone diverse, irregolari. Con un graffito, un ritratto elementare, un disegno astratto, uscivano dalla loro prigionia. Mettevano ordine nella mente»
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