Cassandra. Nel nome il mio destino - Corrado Di Pietro - copertina
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Cassandra. Nel nome il mio destino
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Descrizione


Può un nome condizionare la vita di una donna e farsi destino e segno di una discesa nell'inferno della coscienza individuale e collettiva? Questo è successo a Cassandra Politi, la bellissima giovane che fu costretta a sposare il barone Cesare Iudica di Baulì, alla fine dell'Ottocento, in un paese siciliano della provincia siracusana. "Storia fosca" la definì Luigi Capuana, che se ne occupò in un racconto di poche pagine ma molto controverso, ed è davvero una storia tristissima ed emblematica della condizione servile e coercitiva in cui, fino a pochi decenni fa, versava la donna siciliana. Il racconto si svolge in prima persona, attraverso le pagine diaristiche di Cassandra e alcuni interventi dell'autore-narratore che servono a cucire le parti della storia mancanti nel memoriale della baronessina.

Dettagli

8 luglio 2019
168 p., Brossura
9788893413169

Valutazioni e recensioni

  • Renzo Montagnoli

    Strano romanzo, questo, strano perché non è esattamente definibile il suo scopo. Se si voleva verificare che un nome, profetico quale è Cassandra, finisce per condizionare la vita di chi lo porta è semplicemente assurdo, perché il destino di ognuno di noi è indipendente dall’appellativo che gli è stato attribuito, a meno che non si voglia credere a certe superstizioni; se invece si vuole riportare alla luce una vicenda accaduta veramente nella seconda metà del XIX secolo, vicenda che è l’occasione per mostrare mentalità ormai obsolete, la stesura di questo libro assume maggiore valenza nei suoi propositi. Pur non conoscendo l’autore, dal suo curriculum posso evincere che si tratta doi persona colta e quindi la seconda ipotesi è senz’altro la più plausibile. Ciò premesso, la storia narrata, vera, perché accaduta veramente, presenta le caratteristiche di un testo tanto caro a certi autori di fine ‘800, specializzati in romanzi d’appendice a tinte forti, la cui maggior rappresentante italiana fu Carolina Invernizio. La differenza è però presente e consiste appunto nel fatto che nulla è inventato, essendo realmente accaduto. La giovane costretta a sposare un uomo in vista più anziano di lei, vedovo e con prole, l’amore quasi incestuoso con il figlio maggiore, ma minorenne, dello sposo, la scoperta della tresca, le conseguenze, fra le quali l’emarginazione, un episodio quasi da lady Godiva, e altro che non sto a riferire, sono proprie di certi romanzi di appendice, ma costituiscono un indubbio motivo di curiosità. In questo contesto la narrazione di Di Pietro, basata su una scelta che vede un resoconto diaristico (inventato) della donna, inframmezzato da riflessioni, appendici, puntualizzazioni dell’autore appare felice perché ha il pregio di coinvolgere senza essere noiosa o debordante, insomma in un sano equilibrio che rende gradevole la lettura. Ripeto però che la vicenda in sé è poca cosa, mentre di interesse non secondario è la ricerca antropologica, la vivisezione di una mentalità che all’epoca non era solo siciliana, con la figura subordinata della donna, sempre oggetto nelle mani degli uomini. L’atmosfera, per certi versi opprimente, l’ambientazione sono accurate, così come l’analisi psicologica del marito tradito; un po’ meno curato è l’approfondimento del carattere della donna, ma da un uomo non è che si possa pretendere più di tanto se non una difesa di una vittima, tale solo per il suo sesso, difesa che traspare chiaramente fra le righe. Come ho già precisato questa mentalità retrograda era tipica di quel periodo, e non solo, un po’ in tutto il mondo, quindi non si tratta di una peculiarità dell’isola; dove invece è presente la sicilianità è nel modo di scrivere di Di Pietro, meticoloso, puntiglioso, teso a non trascurare nulla, ma nemmeno greve o comunque asfissiante, una caratteristica che ho riscontrato in non pochi, se non in quasi tutti i romanzieri nati in Sicilia. In questo senso e anche per le finalità dell’opera che ho delineato in precedenza sono dell’idea che una lettura della stessa sia più che meritevole, perché Cassandra è un buon romanzo.

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