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Cuppertino 1976. In un garage di pochi metri quadrati di proprietà della famiglia Jobs, vien fondata la Apple computer. Alla base della fondazione le visioni di un gruppo di ragazzi capeggiati dall’immaginazione di uno di loro, il solo che avesse da poco abbandonato il college. Vita romanzata e ascesa di un genio del marketing, di un appassionato del design, frutto dei pochi studi che lo appassionavano, quelli di grafia e stile calligrafico. Un ragazzo in grado di vedere molto più lontano del semplice e non troppo banale profitto. Un ragazzo in grado di dettare regole e leggi in seno ad una società che dalla metà dei ’70 ha letteralmente dettato legge nella filosofia informatica, e non solo, dei giorni nostri . Kutcher mima alla perfezione il vero Jobs, simulandone la camminata dinoccolata, la scomposta maniera di comportarsi in pubblico, le crisi personali riversatesi successivamente in crisi aziendali, che lo han portato a farsi allontanare dalla sua creatura e lentamente ad allontanarsi da quei pochi amici che l’avevano seguito nella genesi di un’idea tanto innovativa quanto pazza. Il Jobs di Kutcher risulta anche essere troppo istrionico, troppo deciso e sicuro sin dai suoi 20 anni e proprio per questo ha attirato anche le critiche di coloro che veramente gli erano stati vicini sin dall’inizio, su tutti l’amico Steve ‘Woz’ Wozniak. La pellicola risulta inoltre didascalica, non precisa in alcuni punti, su tutti il furto dell’idea della Microsoft del ‘sistema a finestre’, e al tempo stesso s’interrompe quando Jobs ritorna sulla scena della propria ‘creatura’ nel tentativo di rianimarla da anni di scellerata gestione da parte di John ‘Matthew Modine’ Scully, e di chi gli è succeduto. Una pellicola che nel complesso si limita a citare i fatti per ingigantire un one-man show impersonato dallo stesso Kutcher. Pare che per rimediare alle inesattezze del film di Stern, qui alla sua terza pellicola, ci stia pensando Danny Boyle con l’aiuto di Leonardo Di Caprio, già al lavoro per tentare di rendere giustizia al genio di Cuppertino e giustizia anche alla sua infima carica umana. Un vero peccato per un prodotto, questo, ben confezionato ma che però non ha saputo dare sufficiente profondità psicologia ad un personaggio tanto complesso come quello di Jobs.
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