"Le colpe dei padri" è senz'altro il libro più maturo di Alessandro Perissinotto. Coinvolgente fin dalle prime righe, proietta il lettore in una, anzi più storie, tutte avvincenti, magistralmente tratteggiate, sullo sfondo di una Torino post-industriale. Il libro sedimenta dentro l'animo del lettore pagina dopo pagina, riuscendo a sollecitare, in maniera lieve ma inesorabile, riflessioni alle quali non ci si può sottrarre. Le colpe dei padri, le debolezze dei figli, la fragilità del tessuto sociale. E poi un finale inaspettato , dove le antitesi e le contraddizioni interiori scompaiono , per lasciare spazio ad una nuova persona , fresca , che ha dimenticato tutta la sua stanchezza e coglie le semplicità della vita . Da non perdere . Nel libro c'è un formidabile ritratto dei nostri giorni. Da leggere, assolutamente.
Guido Marchisio, torinese, 46 anni, è un uomo arrivato. Dirigente di una multinazionale, appoggiato dai vertici, compagno di una donna molto più giovane e bellissima: la sua è una vita in continua ascesa. Fino al 26 ottobre 2011, una data che crea una frattura tra ciò che Guido è stato e quello che non potrà mai più essere. Quella mattina, infatti, un incontro non previsto insinua in lui il dubbio: possibile che esista da qualche parte un suo sosia, un gemello dimenticato, un suo doppio misterioso e sfuggente? Giorno dopo giorno, il dubbio diventa ossessione e l'esistenza dell'ingegner Marchisio inizia, prima piano poi sempre più velocemente, a percorrere la stessa rovinosa china della sua azienda e della sua città. Di tutte le sicurezze costruite col tempo, non rimane più nulla: il suo ruolo di freddo tagliatore di teste, di manager di successo, la sua figura di uomo affascinante, tutto, per colpa di quel sospetto, sembra scivolare via da lui, come se accompagnasse l'emorragia che lentamente svuota l'industria italiana. Andare a fondo significherà per Guido affacciarsi all'orlo di un baratro e accettare l'inaccettabile.
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Anno edizione:2014
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E bravo Perissinotto! Ha confezionato una storia avvincente ed attualissima, scritta con piglio e stile accattivanti . Chi conosce bene Torino, la sua storia, i suoi abitanti, anche, se come me, non ci ha vissuto che pochi anni, penso che riesca a gustare con particolare piacere le atmosfere che avvolgono le vicissitudini del protagonista Guido/Ernesto e non possa non riconoscere il modo di vivere , la mentalità, i luoghi citati e descritti con elevata e veritiera sensibilità. Ma attraverso quello che l’autore stesso definisce “flash-bulb” emergono dal tessuto narrativo quei tasselli di storia passata che, almeno chi ha la mia età, ha vissuto e ricorda ancora perfettamente. Gli anni di piombo, il terrorismo, le Brigate Rosse… ma anche il Carosello, il Rischiatuttto, e via andare. Purtroppo però le brutte storie del passato spesso si ripetono. E allora la cassa integrazione, i licenziamenti, la chiusura delle fabbriche, il dislocamento dei fabbricati, il cinismo della proprietà non sono solo ricordi del passato ma sono ben presenti nel mondo attuale.. E in quale città si potrebbe collocare meglio una vicenda come questa , se non proprio in Torino che nel bene e nel male è stata una delle protagoniste di quegli anni di piombo?. Qui ha vissuto e prosperato il cuore della Grande Fabbrica, cioè la Fiat: “da sempre l'incarnazione dell'industria italiana, oggi invecchiata e divenuta come, proprio come dice Perissinotto, “un'anziana matrigna” che prima o poi "ci lascerà orfani". Senza togliere alcun merito a Walter Siti, io penso che Perissinotto avrebbe meritato lo Strega, ma, un po’ malignamente e me ne scuso, penso che l’argomento e i riferimenti alla Grande Fabbrica, siano di una attualità un po’ troppo scottante!!
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PATRIZIA FEMORE 28 novembre 2016
Grazie ad un espediente letterario efficace, ma forse non del tutto inattaccabile dal punto di vista della verosimiglianza, l’autore è mette a confronto non solo due personalità antagoniste, ma due epoche caratterizzate entrambe da una forte conflittualità sociale: gli anni di piombo e quelli della globalizzazione. Enormemente diversi sono, però, gli esiti di tale conflittualità: negli anni ’70 una classe operaia combattiva e consapevole della propria forza contrasta il sistema capitalistico fino a produrre, nelle frange più estremiste, fenomeni terroristici. L’odierna economia globalizzata, invece, permette alla classe imprenditoriale, più che mai avida ed arrogante, di schiacciare un avversario rassegnato e debole che, nei casi limite, reagisce ancora con violenza, ma questa volta è una violenza autodistruttiva: il solo modo che gli operai hanno per esprimere la propria sofferenza e la propria ribellione è il suicidio. L’intrusione di Ernesto nella vita e nella personalità di Guido diventa sempre più destabilizzante e, in qualche modo, lo costringe a guardare la realtà con occhi diversi, a provare una sorta di empatia per gli operai, fino ad allora odiati nemici, a rifiutare gradualmente ma totalmente il suo mondo, fino al gesto irrevocabile di sparare (senza colpirlo, però) al suo maestro di vita e superiore gerarchico. Solo e smarrito Guido si spoglia della sua giacca e della sua identità in un finale che l’autore vuole drammatico perché , come egli stesso afferma, non usa edulcorare la realtà. Non si illuda il lettore, non c’è lieto fine - ci dice dunque Perissinotto - ma, a sorpresa, vediamo apparire nell’ultimo capitolo Ernesto con il cane Bello, anch’esso rinato a nuova vita. Non è il rivoluzionario che i suoi genitori naturali avrebbero forgiato, ma è un uomo intento a costruire una propria identità, a seguire, sia pure tra incertezze e difficoltà, gli impulsi della sua indole (il cane, gli studi di veterinaria … entrambi negatigli dai genitori adottivi). E questo, a mio avviso, è un vero lieto fine, anche se non garantisce che tutti vivranno per sempre felici e contenti …
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