Aveva venticinque anni, Yasmina Reza, quando ha scritto questa pièce, e ci si stupisce, rileggendola oggi, nel vedere a che punto avesse già affinato i suoi strumenti: una scrittura da cui viene espulso tutto il superfluo («il grasso», come lo chiama lei); un ritmo scandito da pochissimi elementi (le pause, i momenti di buio); la capacità di far intuire allo spettatore (e al lettore) gli stati d’animo dei personaggi, e le dinamiche che si stabiliscono tra loro, mediante gesti minimi, frasi in apparenza anodine, scambi di occhiate; e la strepitosa abilità, che è solo sua, nel mescolare il registro del comico e quello del tragico. Perfino, come in questo caso, nelle ore successive alla cerimonia con cui tre fratelli, insieme alla ex compagna di uno di loro e a uno zio munito di consorte, hanno seppellito il padre nel giardino di casa. Quello a cui assisteremo sarà l’affiorare di conflitti latenti, antiche gelosie, dolori e rancori la cui rimozione ha provocato piaghe mai rimarginate. Il velo sui segreti di famiglia si solleva a poco a poco – o si lacera con violenza – davanti agli occhi del lettore (e dello spettatore), fino alla catarsi. E sullo sfondo una domanda: ma papà se la faceva o no la signora della pedicure?)
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