Ci sono romanzi che non sanno finire; Cornacchie, più radicalmente, non sa cominciare. L’immagine iniziale — cornacchie che accendono un fuoco — promette allegoria e rottura, ma ciò che segue si disperde in frammenti lirici, personaggi evanescenti e allusioni prive di struttura. La scrittura affastella suggestioni, ma senza direzione: ogni frammento sembra più un esercizio di stile che un tassello narrativo. L’esergo di Caproni invoca una riflessione sul disastro ecologico e sulla fine dell’umano. Ma nel romanzo il potenziale etico e poetico si scioglie in vaghezza. L’ecologia è evocata, non pensata; la natura è mitizzata, non interrogata. L’intera architettura simbolica si regge su intuizioni non sviluppate, su un’estetica dell’allusione che pretende profondità, ma si accontenta dell’ambiguità. Il personaggio di Pepo Dj, reduce del GF VIP, vorrebbe incarnare la coscienza alterata dal mondo mediatico, ma finisce per legittimare proprio ciò che dovrebbe mettere in discussione. Il romanzo non critica la cultura televisiva: la ingloba, la assorbe e ne rimane invischiato. Il confronto con Orwell diventa inevitabile e impietoso. Egli aveva compreso che la chiarezza è la prima forma di onestà intellettuale. Il suo sguardo era etico e politico, e la sua prosa era il riflesso di una posizione morale netta. Non scriveva per evocare, ma per dissezionare, per denudare i meccanismi del potere attraverso il rigore della forma narrativa. In Cornacchie, invece, la scrittura diventa un velo, non uno scalpello. La lingua si fa ornamentale e il pensiero, al posto di incarnarsi nella struttura, si disperde in un campo semantico vago, nebuloso, agitandosi in una costellazione simbolica senza centro. Il simbolo si svuota, la struttura cede, la scrittura si compiace. L’ambizione di essere un romanzo-rivelazione, di dire tutto, si rovescia nell’incapacità di dire davvero qualcosa. Ne resta un libro che gira in tondo sopra le rovine del senso senza mai trovare il coraggio di volare.
Cornacchie
Giacomo Ceccarelli firma al suo esordio un romanzo spiazzante e quasi post-umano, che si legge tutto d’un fiato e ha il potere – sempre più raro in letteratura – di sbalordire. Cornacchie parla del desiderio di libertà e del terrore di perderla, ma soprattutto parla di gabbie, quelle in cui ciascuno di noi (anche se inconsciamente) è rinchiuso e da cui lottando con la vita cerca di evadere.
«Delle cornacchie hanno acceso un fuoco, ti rendi conto? C'è pure un video che le ritrae.»
«Un piccolo gioiello, una perfetta unione di trama, stile originale e ritmo incalzante, con un pensiero coerente dall'inizio alla fine, ossia quello di raccontare il desiderio, doloroso a volte, insito in ognuno di noi, di essere liberi.» - Ansa
Nella foresta di Bowland, l’ornitologa Olga Leffman assiste a un evento straordinario: un gruppo di cornacchie accende un fuoco. Olga le riprende e il suo video diventa virale. Il filmato si insinua persino tra le pareti invalicabili del Grande Fratello, sconvolgendo gli addetti ai lavori del noto reality ma soprattutto il concorrente Pepo Dj che, dalla finta gabbia di popolarità in cui si è relegato, ammira l’incredibile guizzo evolutivo di quegli uccelli. Anche una colf di nome Jasmine assiste al miracolo delle cornacchie, ormai trasmesso a reti unificate, e decide d’impulso di liberare uno dei pappagalli dei signori per cui lavora. Girolamo, parrocchetto rosso rubino, si unirà a uno stormo di cornacchie in un viaggio che lo condurrà fino a Capraia, la cornacchia che conosce il segreto del fuoco. C’è poi Luca, ragazzo i cui sogni ricorrenti sono già da tempo popolati da pennuti con il dono delle fiamme; e il suo amico Enzo, che invece crede di vivere un incubo a occhi aperti e dal suo balcone comincia a fare strage di cornacchie al grido di “il fuoco è nostro”.
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Anno edizione:2025
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ABC 21 luglio 2025Cornacchie e simulacri: il fallimento dell’allegoria nella post-modernità televisiva
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